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L’Euro che vorremmo, l’Euro che verrà

Da cosa partire? Certamente dal debito greco arrivato a quasi 250 miliardi e alle sue scadenze. immediate. Nei confronti della BCE le scadenze prossime sono ravvicinatissime: 3,5 miliardi il 20 luglio, altri 3,2 miliardi il 20 agosto. Nei confronti del Fondo Monetario Internazionale (FMI), il 30 giugno è scaduta una rata di rimborso all’Fmi per 1,5 miliardi, 455 milioni scadranno il 13 luglio, altri 304 milioni il 4 settembre.
Tre, secondo alcuni analisti economici, sono i passi importanti e decisivi da fare.
Il primo passo è che la UE, attraverso il fondo europeo Esm – European Stability Mechanism, si faccia carico della restituzione dei debiti del governo greco nei confronti di FMI e della Bce, svincolandosi così dalla partnership con il Fondo Monetario Internazionale che, se giustificata nel 2010 e nel 2012, quando si trattava di fronteggiare la stabilità finanziaria dell’eurozona, oggi non è più centrale e sembra invece ostacolare la nuova posta in gioco che è la sopravvivenza stessa dell’Euro.
Il secondo passo è che la UE, divenuto il solo negoziatore del debito greco, si convinca che l’unico scenario possibile è la ristrutturazione del debito. Il credito acquisito dall’Esm verso la Grecia dovrebbe avere tassi di interesse molto bassi e/o scadenze molto lunghe. Quanto accaduto in America Latina negli anni Ottanta, che ha visto le crisi di molti paesi, tra i quali Messico, Venezuela, Uruguay, Argentina e Brasile, dovrebbe insegnare che solo con l’adozione del piano Brady, che prevedeva tassi ridotti, scadenza più lunghe e capitale scontato (ripagare 70 invece di 100), si riuscì ad invertire la rotta rispetto ai piani precedenti. Piani che non avevano fornito incentivi sufficienti ai paesi in crisi a realizzare le riforme necessarie a far ripartire la crescita, finendo per far crescere il loro debito. Qualcosa che richiama da vicino quanto accaduto in Grecia e che pone come centrale l’importanza del terzo passo: definire nuove condizioni, decisive perché la concessione della ristrutturazione del debito sia efficace e conveniente per gli stessi creditori.
Ancora una lezione che si può trarre è questa volta quella delle tante storie di imprese insolventi, ma con un buon progetto di investimento. Il finanziamento del nuovo progetto può generare utili a beneficio di entrambi e la rinegoziazione può essere così nell’interesse sia del debitore (che vede il suo debito alleggerito) sia dei creditori (che si possono appropriare di una parte degli utili del nuovo progetto).
Ritornando a noi, questo significa che la Grecia abbandoni le strade che ha autonomamente percorso con politiche fiscali espansive a impatto nullo sull’ammodernamento del paese e di cui ha beneficiato solo una parte della popolazione (quella che addirittura a norma di costituzione è legittimata a non pagare le tasse). Ma significa anche che la Troika abbandoni le politiche di austerity che lo stesso capo economista del FMI, Olivier Blanchard, ha stigmatizzato come ricette sbagliate di cui non si era calcolato il vero impatto recessivo.
Dunque si tratta di pensare in un’ottica di lungo periodo, di almeno dieci anni, perché solo in questo orizzonte temporale è pensabile una riforma seria del sistema giudiziario, una vera liberalizzazione dei mercati dei beni, mentre innalzare l’IVA o richiedere avanzi primari superiori all’1 per cento per l’anno che verrà possono essere perfino indesiderabili per colmare quel deficit di competitività che è il vero male dell’economia greca.
Ma se gli obiettivi di chi prende le decisioni sono la probabilità di rielezione alle prossime scadenze elettorali nessuna lungimiranza è possibile. Spiegare tutto questo ai cittadini Euro significherebbe metterli in condizione di esprimersi se sono disponibile a pensare ad un progetto per il proprio futuro: oxi o nai?

MIRELLA DAMIANI
Docente di Economia e Politica Internazionale, Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Scienze Politiche

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