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Dopo la tragedia di Parigi: per non dimenticare

Le 130 persone uccise a Parigi da un manipolo di giovani invasati e plagiati reclamano una giustizia certa, tempestiva, efficace. A ciascuno di noi le vittime chiedono qualcosa: il ricordo ed il rimpianto a chi ne ha condiviso in vita la quotidianità; la preghiera a chi ha la fede; il sentimento della pietà a tutti. Riflessioni da dedicare anche al tragico stillicidio di stragi di decine di migliaia di nostri simili uccisi con analoghe modalità cruente dalla stessa violenza terrorista in tante zone dimenticate del mondo, dove manca tutto e si può esser uccisi per nulla, zone da noi lontane per geografia e cultura. Se lo scopo perseguito da mandanti ed esecutori delle missioni omicide è seminare il panico tra noi “infedeli”, occorre verificare origine e motivazioni delle strategie di morte di coloro che ci sono avversari. Oggi, la crisi nel mondo globalizzato si esprime nell’eclissi dei valori umani; si vive in un clima competitivo che, a livello finanziario, finisce per favorire quelle élite che, arricchendosi sempre più a fronte dell’impoverimento di altri, consolidano potere contribuendo ad alimentare il risentimento dei più sfortunati verso popolazioni e ceti sociali ritenuti privilegiati. “…Eliminare le cause profonde del terrorismo… che includono la povertà, il sottosviluppo e l’esclusione”: il magistero di papa Francesco elenca le disparità sociali come humus del terrorismo, esortando ad abolirle con gli strumenti del progresso e del buon senso, ispirati alla carità evangelica che afferma il diritto di tutti a vivere con dignità. Le stragi terroristiche rappresentano un fenomeno alla cui genesi concorrono almeno tre fattori: l’emarginazione e il desiderio di rivalsa immanenti in uomini originari di periferie esistenziali connotate da disagio non solo economico; il furore rivoluzionario di altri uomini che, a nome di un fondamentalismo pseudo-religioso totalizzante, in realtà perseguendo lo scopo del potere economico e sulle coscienze, proclamano la farneticante utopia di creare con la violenza un mondo nuovo inclusivo dell’odiato occidente; gli interessi economici e le mire espansionistiche dei “signori della guerra” che, approfittando del caos delle zone di belligeranza endemica, fomentano conflitti. “Siamo alla terza guerra mondiale… combattuta a pezzi… I morti sembrano far parte di una contabilità quotidiana”, afferma accorato Papa Francesco. Il clima di emarginazione sociale accomuna sia zone degradate di tante metropoli del mondo sinora immuni da terrorismo, sia le banlieue di Parigi e Bruxelles da cui provenivano i kamikaze in azione a Parigi; ci si interroga sulla forza annidata in un’idea delirante capace di irretire alcuni giovani al punto da trainarli al sacrificio della propria vita, dopo aver sacrificato quella di altri, sconosciuti inermi. La risposta la fornisce lo psicanalista M. Recalcati (“la Repubblica”, 23/11): “I terroristi sono anime morte che uccidono le esistenze di cui invidiano la vita e la libertàfarsi esplodere o uccidere è un modo per accedere ad un paradiso di carne che li beatificherà eternamente”. Mettere in campo i valori dell’umanesimo cristiano, la “cultura dell’incontro” su tematiche condivise ispirate al rispetto dell’“umanità presente in ogni persona”, associando tali iniziative ad una politica di prevenzione che favorisca scambi interstatali delle informazioni di intelligence, e ad “un embargo planetario” verso i Paesi che trafficano con i Paesi del terrore, come suggerito dal cardinal Bagnasco, per non dimenticare le vittime del terrore senza cadere nella trappola della paura: mi sembra che continuare la nostra quotidianità sia una maniera giusta per onorare il loro sacrificio.

GIUSEPPE LIO

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