Se scappi. Un trafficante alla Caritas1 250

Se scappi ti frodo. Un trafficante alla Caritas: “Mi rubate i clienti”

pireoIl Pireo è uno dei porti più estesi al mondo, appena 12 km dal centro di Atene. Famoso per le sue taverne, il porto conserva una sorta di fascino tutto suo, tra palazzi dell’800 ed edifici dismessi, milieu nei tempi andati delle liriche più note dei rebetes ateniesi.
Al porto si arriva facilmente: basta infilarsi nella linea verde della metro e lasciarla correre per una mezz’ora. I tavolini dell’unico kafenìo si perdono tra il marciapiede e l’asfalto, spettatori indiscreti degli arrivi di un terminal, non troppo lontano dalla stazione.
Una folla di gente inizia a spiaggiarsi a terra, attorno al mio sgabello, accoccolata alle coperte grigio ardesia dell’Unhcr, ricevute in qualche isola al momento dello sbarco. Nel caffè nessuno si scompone: la gente rimane lì, a sorseggiare frappè in mezzo ai profughi, come fosse la cosa più normale del mondo. Un bazar en plein air serpeggia fuori in pochi minuti, come attratto da un pifferaio, sgusciato silenzioso da porte e saracinesche. Due signorine agghindate provano a rifilare una sim ai nuovi arrivati; alcuni srotolano smartphone all’ultimo grido, altri ancora un intero viaggio per l’Europa. Degli arabofoni del posto sembrano istruirli a lungo su dove muoversi; uno di loro si sincera che io non voglia interferire in quel dialogo tra Cappuccetto Rosso e il Lupo.
Una piccola rifugiata afgana gioca in disparte, a qualche palmo dal mio tavolino.
Senza meditare forse di darglielo davvero, decido di improvvisarle un fumetto, un modo per restituirle su carta il suo mondo di bambina. La bimba, alta non più di tre barattoli, si avvicina. Non ci siamo nemmeno guardate eppure ha intuito che c’è qualcosa per lei da questa parte. Afferra perplessa il mio schizzo, che rimira con i suoi occhi sottili. Senza volerlo l’ho disegnata come Cappuccetto Rosso.
Martedì mattina alle 5.30 la linea Pireas/Kifissià già brulica di persone. Atene si stiracchia al primo sole mentre il Pireo abbraccia le navi che traghettano i profughi dalle tante Lampedusa elleniche. Con molti non riusciamo a trovare una lingua di comunicazione ma ci scambiamo sguardi che si dicono tutto, parole sommesse che ricordano nenie antiche in cui ci ringraziano nei loro idiomi. In fondo, loro, hanno solo bisogno degli occhi di qualcuno in cui riposare. Alcuni sembrano ricevere fiducia dalle nostre magliette bianche tutte uguali, altri sembrano confusi, assaliti da trafficanti, privati e agenzie di trasporti. Al Pireo ogni Caronte cerca di guadagnarsi clienti come meglio crede, ognuno grida il suo tariffario come fosse al mercato della verdura. Ma qui, al contrario del mercato, gli intrusi non sono i benvenuti. Chi traffica ci inquisisce più volte, uno di loro si finge persino siriano pur di ricevere il foglio informativo di Caritas Atene. Ma non ha di certo l’aria di uno che si è fatto una traversata.
Al Porto il tariffario profughi si aggira attorno ai 25 euro per un solo posto bus per Atene: un vero latrocinio se si pensa che la metro ne costa 1 e 20. 30-50 euro sembra il prezzario per il confine macedone, ma senza la certezza che l’autobus non li molli prima in mezzo al nulla o decida all’improvviso che si è rotto un pezzo. Altro che se scappi ti sposo.
Abdel e Usman, pelle bruna e andatura dinoccolata, sono afgani. Sono esausti per le tante ore passate in nave. Scambiamo qualche parola. Non conoscono la loro rotta e non sanno nemmeno di trovarsi in Grecia, Yunani, come la chiamano in Oriente. Anche Nabila è spaventata. La donna viene da Aleppo; qualche ruga le copre prematuramente il volto, viaggia sola con le sue due figlie. Ci stringe forte le mani mentre le diamo informazioni su come raggiungere la Caritas. Il Pireo è pieno di uomini, non sa bene di chi fidarsi, ci implora di non lasciarla sola. Il lupo che la perseguita è un uomo di mezza età, capelli cenere alla Marlon Brando, occhi grigi e sopracciglia folte. La giacca di pelle e la collana al petto lo fanno somigliare alle caricature da film degli uomini di cosca. “Mi state rubando i clienti” protesta contro di noi Marlon mentre Nabila, avvicinata dall’uomo, cerca sicurezze dal nostro sguardo. “Questo è il mio business” spiega in maniera concitata agli operatori della Caritas chiedendo di spostarci da un’altra parte. La nostra attività informativa sui servizi in favore dei rifugiati sembra molestarlo. Corro con il dito sulla mia maglietta, c’è il logo della Caritas stampato sopra, tagliato dalla scritta Aghàpi, “Amore”. Marlon-lupo sorride. È siriano, mi dice, ma abita in Grecia da quasi vent’anni. Prima di lasciare la Siria scriveva novelle e pubblicava poesie. Ha perso la sua famiglia e in Grecia ora non riesce a trovare lavoro. Di tanto in tanto scrive ancora. “Lo so che aghàpi è importante, ma cos’altro posso fare qui?”
Non me lo ero mai chiesto leggendo la favola, ma ora mi domando come mai la mamma mandi sola Cappuccetto Rosso nel bosco. Perché si sa che il bosco non è una passeggiata. Forse alla mamma non importa davvero che Cappuccetto arrivi sana e salva dalla nonna. Mamma-Ue dovrebbe farsi qualche domanda.
Rientro a Neos Kosmos, la casa di accoglienza gestita dalla Caritas di Foligno dove abito da settembre. Trovo i tre bambini della casa ad attendermi, desiderosi che racconti loro una storia. La piccola Voula è avvolta in una mantellina con un cappuccio amaranto che la fa sembrare Cappuccetto Rosso. “Tra un anno sarai greca” sentenzia soddisfatta all’epilogo del racconto. E ripete da sola la frase ad alta voce, avvolta nella sua mantellina.
Tra un anno capirò tutto.

FRANCESCA BRUFANI

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