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Vendetta scambiata per giustizia. Il ruolo dei social network e la tragedia di Vasto

Una tragedia di casa nostra. La tragedia consumatasi a Vasto in due tempi successivi ha finito per gettare nella costernazione tre famiglie, aggiungendo nuovo dolore al dolore preesistente. I fatti: Fabio, 34 anni, per vendetta ha ucciso a colpi di pistola Italo, 21 anni, il giovane che 7 mesi prima, non rispettando una precedenza, aveva investito sua moglie Roberta, 34 anni, provocandone la morte: imputato di omicidio stradale, Italo si trovava a piede libero (ma l’iter giudiziario a suo carico era in corso). Fabio, sconvolto dal dolore per la perdita della moglie, indignato nel contempo perché a suo dire non venivano presi provvedimenti restrittivi contro l’uomo all’origine della sua tragedia, viveva dentro la visione totalizzante di una vita coniugale infranta, subiva certamente nella sua solitudine la pressione mediatica sui social network di quanti – amici e conoscenti – non accettavano la presunta impunità del responsabile della morte di Roberta, e dalla frangia di essi che, confondendo giustizia con vendetta, istigavano alla violenza; Italo, descritto come altruista, volontario nella protezione civile, certamente “doveva convivere con il senso di colpa ed il tentativo di rimuoverla” (Vera Slepoj, psicanalista, “GIALLO”). Gli avvenimenti suggeriscono alcune riflessioni: interpellano l’ansia di chi tra noi è portato da inespressi timori dell’inconscio ad identificarsi nel ruolo di responsabile o vittima della vicenda, per esorcizzarne la paura dell’eventualità; richiamano tutti noi all’utilizzo adeguato dei social network nati per “offrire maggiori possibilità d’incontro e di solidarietà tra tutti” e non per “indurre alla manipolazione delle persone” (papa Francesco): reti sociali che, se mal gestite dall’utente, anziché esser portatrici di prossimità, possono trasformarsi in occasionali veicoli di melense esternazioni di circostanza oppure di incitamenti subliminali o espliciti all’odio e alla vendetta contro terzi, che hanno particolare presa su menti rese più fragili da dolori immanenti. Ma inducono a considerare il ruolo assunto nella vicenda dalle pene stabilite dalla severa legge sull’omicidio stradale, nata per sanzionare le conseguenze provocate per colpa di comportamenti di guida disattenti o irresponsabili. L’applicazione della legge immagino sia stata temuta dal giovane Italo come minaccia alle proprie attese di futuro e invocata come riparazione all’offesa da Fabio, un uomo solo in compagnia dei suoi fantasmi, nelle notti delle sue inquietudini, nella quotidianità delle sue mute preghiere (come ci informano i media) sulla tomba di Roberta. Forse è mancata la vicinanza incisiva di chi avrebbe potuto aiutarlo a non deragliare, a non trasformare l’attesa di giustizia in vendetta. La legge del “taglione”: una vita pagata con un’altra vita. “La vendetta non è mai giusta, in quanto espressione dell’odio e della violenza; ci è consentito di chiedere giustizia” dice papa Francesco. In una vicenda che sarebbe potuta accadere ovunque, le esistenze di 3 giovani si sono incrociate a Vasto con conseguenze tragiche per 2 di essi, che affidiamo alla preghiera ed alla pietà. Fabio avrà tempo e modo di elaborare il suo errore. Per tutti nasce una speranza dalle parole pronunciate dal parroco nell’omelia al funerale di Italo: “Il fatto che tra noi ci sia il fratello di Roberta simboleggia il rispetto, il perdono, la voglia di andare avanti. Fermiamoci. Solo fermandoci e ritrovando la capacità di parlare tra di noi potremo a nostra volta fermare l’odio. Chiediamo perdono, tutti insieme”.

GIUSEPPE LIO

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