ok - Intervista don Ciotti

“Ai nostri giovani abbiamo tolto il futuro”

Si chiude con una standing ovation l’intervento di don Luigi Ciotti alla VII Festa di Scienza e Filosofia. Fondatore a soli vent’anni del Gruppo Abele con cui è al fianco degli emarginati e dei più deboli, poi a capo di Libera, l’associazione che dal 1995 lotta contro le mafie, don Luigi si commuove nel ricordare gli uomini della scorta del giudice Falcone e l’impegno politico di Pio La Torre nel trentennale del suo assassinio con l’autista Rosario Di Salvo. Al termine della conferenza in un Auditorium San Domenico gremito, lo abbiamo avvicinato per approfondire alcuni dei temi affrontati.
Don Luigi, la Festa di Scienza e Filosofia arriva alla VII edizione e si conferma un’occasione importante per Foligno e per l’Umbria. Lei che cosa ne pensa?
Momenti come questi sono fondamentali. Sono l’occasione per graffiare le coscienze, per porre dubbi e far sorgere interrogativi anche in chi non ha strumenti a disposizione.
Nel suo intervento ha rilevato la complessità del tempo in cui viviamo e la nostra piccolezza. Possiamo davvero avere ancora fiducia nel futuro?
Noi dobbiamo assolutamente continuare a confrontarci con la speranza. Non possiamo lasciarci travolgere dal pessimismo, ma dobbiamo enfatizzare il positivo che c’è. Dobbiamo combattere chi delega, lottare contro la delega dell’indignazione: non possiamo accettare chi continua a guardare e lascia fare.
Combattere la delega: in una società in cui le famiglie tendono a delegare l’educazione dei figli alle scuole, come si può sanare il rapporto scuola-famiglia?
La famiglia non può delegare alla scuola la sua dimensione educativa che, invece, le appartiene. Possono integrarsi, ma ognuna è chiamata ad assolvere la propria parte. La famiglia e la scuola sono l’investimento per il futuro, non possono, però, essere le uniche se vogliamo diventare veramente una società aperta al futuro.
Che cosa significa, dunque, per lei educare?
L’educazione è il sismografo dei camok - Intervista don Ciotti - Copiabiamenti sociali e la conoscenza è la maestra dei cambiamenti. Dobbiamo avere speranza nel cambiamento: il nostro primo dovere cui tutti siamo chiamati è registrare i cambiamenti. Solo così possiamo mettere in discussione il modo in cui proviamo a educare o, almeno, ci illudiamo di educare. Ci dimentichiamo che non ci educhiamo mai da soli, ma che mentre educhiamo, veniamo sempre educati. E noi possiamo costruire una città educativa solo con il contributo di tutti. Nella scuola molti lo stanno facendo. Non vorrei, però, che fosse una stagione: questa è la stagione della legalità.
A proposito di legalità, accennava che oggi c’è bisogno di “bonificare” le parole. Come è cambiato il concetto di legalità?
Oggi la legalità è diventata una bandiera. C’è il pericolo che diventi un idolo, un “progettificio”. La legalità non è neppure un valore, è lo strumento per raggiungere un obiettivo: la giustizia. La legalità è la saldatura tra la responsabilità che ognuno deve assumersi e la giustizia che è in noi. Dobbiamo evitare la confusione che si è creata. Molti parlano di legalità, ma hanno scelto quella malleabile, la usano come un lasciapassare. Per questo dobbiamo rivedere le coordinate del progetto educativo nelle scuole perché la legalità è il mezzo per raggiungere la giustizia, ma prima della legalità c’è la responsabilità. E prima della responsabilità ci sono la dignità umana e la libertà.
Lei ha speso tutta la sua vita per ridare libertà e dignità alle persone. In una società complessa come quella odierna, come è cambiato lo scendere in strada?
Nella mia vita ho scelto di stare dalla parte dei poveri senza distinzioni, per guardare ai bisogni profondi dell’uomo. La crisi finanziaria ha moltiplicato la gente di strada. La povertà ci insegna che la strada della speranza o è di tutti o non è di nessuno. Noi abbiamo il dovere di riconoscere le persone, di dare la cittadinanza che a volte è tolta. Dobbiamo crescere nell’area dei diritti e nella giustizia sociale.
Riferiva, infatti, dell’indagine svolta nelle scuole dal Ministero e dalla quale è emersa la sfiducia dei giovani verso il futuro e lo Stato in cui vivono. Che cosa è diventata la nostra società?
Alle nostre generazioni è stato tolto il futuro. Una società che, però, non investe sui giovani, è una società avara, rassegnata. È una società che sta divorando se stessa.
Io concordo pienamente con il documento dei vescovi italiani. Dobbiamo riappropriarci di quella funzione politica che stiamo delegando ai professionisti di questo impegno nella società. Non si fa politica solo nei partiti, ma anche al di fuori di essi e solo così si può contribuire allo sviluppo della democrazia. Come ci ricorda papa Francesco, dobbiamo valorizzare i carismi e le attitudini delle persone. Fare politica è importante. Come disse Paolo VI: la politica è la più alta ed esigente forma di carità al servizio della collettività.

ANNAMARIA BARTOLINI

0 shares

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Skip to content