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Dimmi come aspetti e ti dirò chi sei L’attesa di Irma nel cuore dei Caraibi

Erano almeno dieci giorni che l’aspettavamo e alla fine è arrivata: puntuale, molesta, indiscreta. Soprattutto puntuale: una qualità piuttosto rara da queste parti. Qualcuno l’ha ribattezzata “il Mostro” ma ad Irma – una pancia grossa quanto mezza Italia – non è sembrato importare un granché. Del resto, una il cui nome significa “potente” non deve andare troppo per il sottile.
Qui a Mare Rouge, nordovest haitiano, dove sono da circa due mesi, stamattina ci sono quasi tutti: le signore coi loro fazzoletti di cotone, mesye Fabien col suo cappello di paglia, Josline, col suo sorriso perlato di sempre e col suo unico vestito color tabasco. Pure Anne, la signora che macina mais lungo la strada, ha deciso di continuare ad imbrattarsi con le sue nuvole di farina. Pure oggi. Oggi che viene Irma.
Givenchi e Woodjy, 7 e 8 anni, hanno setacciato il paese alla ricerca di un sacchetto – un lusso per la maggior parte della gente – per fabbricarmi un aquilone. Qui, dove nessuno ti regala niente o al massimo ti fa pagare perché sei bianco. Qui, dove flotte di italiani hanno insegnato alle persone solamente a ricevere. “Davvero è un regalo?” “Sì. Devi portarlo in Italia, così ti ricordi di noi…”.
Gli Stati Uniti verranno colpiti in pieno, si dice, Haiti verrà interessata solo di striscio: il paese più ricco e quello più povero dell’emisfero, uno stato presente ed uno assente. Uno in cui si svuotano scaffali, uno in cui la gente mangia a malapena. Perché qui è il parroco che si preoccupa di dire alle persone di starsene al sicuro. Se sicuro si può dire. Persino noi aspettiamo Irma con un buco nel tetto. E io posso solo abbracciare il mio aquilone e tentare di metterlo al riparo. Almeno lui.
Qui, raccontano, la gente è abituata ad aspettare le tempeste. Quelle tropicali come quelle della vita. Perché quando nascono possono trasformarsi ancora. Possono colpirti come andarsene altrove, evolvere in uragano oppure spegnersi, possono risparmiarti come portarsi via tutto. Pa konnen, dicono, non si sa. Devi aspettare, disperare non serve. Del resto, dice un proverbio, è il coltello a conoscere il cuore della patata. Come dire che sono i tempi difficili a rivelare il cuore delle persone. Si vede come sei da come aspetti un uragano.
Oggi è l’8 settembre e Irma si è spostata più su. Più su del previsto. “Dio ci ha protetto” mi dicono tutti nonostante la paura. Qualche mese fa un ciclone meno forte aveva spazzato via tetti, distrutto piantagioni. “Siamo tutti vivi. L’orto puoi ricostruirlo – mi dice il Direttore Caritas – ma la gente no”. Diversi ringraziano la Madonna, che ha protetto Haiti nel giorno della Sua festa. “L’uragano è come un aquilone – mi dice il direttore di una scuola -, è Dio che decide dove va”. Givenchi è lì a due passi, che gongola dietro l’ingresso della sua casetta cremisi dal tetto di latta. Non ho il coraggio di dirgli che il suo aquilone si è rotto. Colpa di Irma la potente. Il bimbo mi guarda e allunga timidamente un braccio da dietro la schiena. Irma la potente ha riempito le strade di spazzatura. Anche lei in fondo ci ha lasciato qualcosa. Givenchi sorride. “Tieni – mi dice -, ti ho fatto un altro aquilone…”.

FRANCESCA BRUFANI

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