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Metti, una sera a cena con Roberto Vecchioni: musica, amore, religione. “Pur essendo insoddisfatto, l’uomo vive di materialismo”

Parlare con Roberto Vecchioni a una cena privata, senza vincoli di tempo o fan che lo assediano, è un vero piacere. Grazie come sempre alla Athanor Events (Stefano Porri e Cristina Caldani, direttore artistico Carlo Tomassini), l’autore di Luci a San Siro si intrattiene amabilmente con chi vi scrive.
Professore o maestro?
Professore, professore. Lo studio, insieme all’amore e alle donne, è quello che ha dato un senso alla mia vita. Ho insegnato lettere, continuato a studiare latino per tanti anni oltre a insegnarlo. Ho avuto due mogli, due figlie (gli altri due sono maschi) e quattro nipotine. A loro ho dedicato “Le mie ragazze”. Come faccio a non essere felice? Ho una vita piena di amore. Voglio spendere, però, una parola in favore delle donne umbre. Bellissime, forti, mai dome alle avversità. Da oggi pomeriggio, come ogni volta che vengo nella vostra terra, non smetto di ammirarle. Siete fortunati.
Dopo oltre sessanta tra raccolte, live e album, senza contare i singoli, un nuovo tour dal titolo inequivocabile: “La vita che si ama”.
Credo che la risposta di prima sia eloquente; aggiungo l’amore per la musica.
Nel brano “Per amore mio”, contenuto nell’omonimo album del 1991, ispirandosi al Don Chisciotte di Cervantes lei canta “Ho combattuto il cuore dei mulini a vento”. Sembra essere il grido dei giovani di oggi riguardo al futuro, a un mondo che non offre, apparentemente, speranze.
Non la metterei in questo modo; combattere le avversità, come se fossero mulini a vento, non è mai vano. È aprirsi al sogno della felicità, non rinunciarvi. Fino a che ci sarà amore, i mulini a vento saranno sempre sconfitti. Ai ragazzi dico sempre “Non mollate, il futuro è vostro”.
Quindi El bandolero stanco (1997) che “va su un cavallo bianco, col suo tormento lontano va”…
Appunto, lontano. Scavare nel proprio io, combattendo ciò che dentro ci avversa come proiezione di un mondo pieno di brutta gente, serve a non fermarci. Come dicevo andando avanti, per raggiungere quello che meritiamo. La felicità.
Professore, la Gazzetta è il settimanale diocesano di Foligno. Posso affrontare il tema della spiritualità con lei?
Assolutamente. I Vangeli sono rivoluzionari; il messaggio che li accomuna è l’amore. Come ho dichiarato in passato, Dio mi manda messaggi sempre più forti spingendomi a cercare risposte.
È dovuto anche alla sua forma mentis di letterato, di filosofo.
La filosofia è l’insieme delle convinzioni sulle quali il singolo fonda la propria concezione della vita. La religione mi spinge a cercarle e a cercare.
Filosofia e teologia. La teosofia incide a questo punto su ogni aspetto della sua vita.
Come sempre, più di sempre.
Al Festival Biblico di Padova, qualche anno fa, lei cantò “La stazione di Zima”. Il testo narra di un uomo, attaccato alle cose terrene, che durante un viaggio in treno incontra Dio, ponendogli domande. Il Creatore gli parla del Paradiso. Alla fine, l’uomo dice “che tu ci sia o non ci sia, con te, Signore è tutto così grande, così spaventosamente grande, che non è mio, non fa per me.”
L’uomo, nella sua piccolezza e spesso aridità emotiva, non è capace o non vuole vedere “oltre”. Pur essendo insoddisfatto, vive di materialismo. Dio ci chiama, occorre aprire il cuore e ascoltare. Soprattutto occorre saper ascoltare.
Come Luca Barbarossa anche lei, professore, ha un pensiero molto in linea con Papa Francesco.
Il Papa dei poveri, degli umili, degli emarginati. Davvero un Uomo di Dio. Straordinario.

GIANLUCA PARADISO20

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