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Intervista a tutto campo con Giorgio Raggi, già sindaco di Foligno e presidente della Coop Centro Italia: “Ora mi dedicherò ai giovani”

Dalle sacrestie cattoliche passando per la poltrona di primo cittadino di Foligno nei difficili anni ‘70 quando le Brigate Rosse volevano schiacciare lo stato democratico fino a raggiungere la poltrona di presidente della Coop Centro Italia, un impero della grande distribuzione. Giorgio Raggi, da qualche giorno in pensione, mantiene lo stesso piglio e la stessa ironia di allora. E fisicamente non è nemmeno cambiato a parte il sale e pepe dei capelli. Criniera riccia e occhialini alla Charlie Chaplin (così lo disegnava il compianto Renato Campana), Giorgio si è formato nella parrocchia di San Giuseppe Artigiano. L’incontro con Maria Rita Lorenzetti avviene sulla ‘Pagina Sette’ della Gazzetta di Foligno allora intellettualmente animata da un grande maestro: don Dante Cesarini. Era l’epoca di quelli che venivano definiti catto-comunisti. Poi un certo giorno del 1976 il Pci lo lanciò alla guida della città. E Giorgio Raggi, appena fresco di laurea, a soli 25 anni diventò sindaco.
Che cosa ricordi di quegli anni peraltro difficili funestati anche dal terrorismo?
Due cose essenzialmente. La prima: il rapimento Moro. Quel giorno bastò un fischio e alle 12 tutta Foligno era in piazza. Dalla classe operaia delle Ogr alle più alte cariche dello Stato e della Chiesa. E poi i giorni seguenti: cento assemblee in tutte le scuole e in tutte le fabbriche. Come ci avevano insegnato Berlinguer e Moro: in modo unitario. Le Brigate rosse ci colpirono al cuore. E il cuore e le menti reagirono: isolammo le Br che furono sconfitte sul piano militare. Vinsero però sul piano politico: oggi è ora di riconoscerlo. Il compromesso storico fu soffocato sul nascere e iniziò il declino dei partiti di massa. E con esso il declino della democrazia rappresentativa e il percorso di eutanasia della sinistra.
La seconda: l’abbraccio riuscito fra due parti della città attorno alla Quintana. Molti di noi da ragazzi vedevano la Quintana come un qualcosa di carnevalesco, altri ci tenevano assai. Noi sbagliavamo ma era indubbio che l’egemonia della Quintana era politicamente della destra e non della migliore destra: in sostanza la città era divisa. Fu un contrasto fortissimo: mi rifiutai come Sindaco di consegnare le chiavi della città a Menicacci designato primo magistrato. Successe il putiferio: ne uscii facendo assumere al Sindaco della città il ruolo di primo magistrato. Così lessi il bando (mai visto se non dieci minuti prima) tutto d’un fiato e mi vestii in modo cosi nobiliare da sentirmene orgoglioso. Penso di aver intrapreso anche in quell’occasione un percorso di unità della città: una delle carte che avrebbero poi fatto grande e forte Foligno negli anni successivi.
Fra te e monsignor Giovanni Benedetti ci fu anche un confronto leale e quotidiano?
Ci fu amicizia e sintonia politica. Inseguivamo entrambi il bene comune: difficile non consolidare un rapporto. Del resto don Giovanni ci aveva conosciuto a San Giuseppe Artigiano: venti ragazzi per due anni a studiare teologia tutte le domeniche pomeriggio! Siro Silvestri ci cacciò dalla parrocchia (eravamo con don Milani non con Florit), don Giovanni ci “recuperò”. Inevitabile e piacevole incontrarsi qualche anno dopo lui Vescovo e io Sindaco. Nel 1981 il nostro appello alla pace, in vista della marcia Assisi-Perugia, ebbe risalto sulla stampa nazionale: era il periodo in cui Berlinguer mangiava alla mensa dei francescani nella basilica di Assisi. Il percorso era chiaro: inseguivamo l’incontro di tutte le componenti democratiche, la via del dialogo in primo luogo fra comunisti e cattolici, ma anche fra atei e credenti. Un percorso di unità della città.
Da sindaco a presidente della Coop, come cambiò la tua vita?
Mi cimentai nel coniugare ideali e conti, orizzonti di lungo periodo e necessità di pane quotidiano. Tutto cambiò radicalmente: per due/tre anni imparai umilmente a far di conto, a capire la partita doppia, il roi e il break-even.
Quali sono stati i momenti più esaltanti di questi anni di dirigenza?
Innanzitutto la crescita delle quote di mercato e l’occupazione creata: passare da 600 dipendenti a 3500 crea gioia. E poi le innovazioni create: dall’Agorà a Collestrada abbiamo cambiato tempi e modi del consumo in Umbria.
Ma le soddisfazioni più grandi come le delusioni più significative sono maturate sul terreno delle battaglie fatte per rendere etico il mercato. Il Sole 24 Ore nel febbraio 2003 cita l’Umbria come regione antesignana nel creare aziende che mettono in primo piano solidarietà e codici di condotta… avevamo raccolto circa 30.000 firme per far approvare una legge che riconoscesse l’istituzione dell’Albo delle Imprese Certificate Sa 8000. Un tentativo di premiare le aziende corrette più che penalizzare le scorrette. Purtroppo non ne uscì nulla: la legge è tuttora vigente ma non ha riscontrato l’interesse delle Organizzazioni sindacali né di quelle datoriali. E oggi, dopo 15 anni, la precarietà del lavoro e spesso lo schiavismo ha preso abbondantemente piede… insieme alla progressiva scomparsa della sinistra.
E i momenti più difficili?
Gli investimenti in MPS sono stati un problema: abbiamo creduto nella banca del territorio e abbiamo creduto nelle Istituzioni pubbliche (dalla Commissione Europea ai Governi italiani, dalla Banca d’Italia alla BCE e alla Consob).Questa fiducia è stata tradita e i tribunali stanno ora verificando se siano dovuti o no i risarcimenti rispetto alle false prospettazioni di bilancio. Fortunatamente oggi il problema è superato ma sono stati momenti non facili.
Torniamo alla nostra Foligno. Perché secondo te non decolla dal punto di vista economico pur avendo industrie di eccellenza nel campo della meccanica fine che peraltro sono quelle che continuano ad assumere? Cosa dovrebbe fare la politica? E quali infrastrutture mancano ancora per un salto di qualità?
Vorrei essere chiaro: dagli ultimi anni del secolo scorso ai primi dieci anni del 2000 Foligno ha vissuto un periodo fra i migliori della sua storia. Non è mai stata così bella e così centrale nello scenario nazionale e umbro: ci hanno invidiato e addirittura accusato di essere un ‘gruppo di potere’ che aveva occupato troppi posti di comando.
Come se stessimo tutti i giorni a complottare. In realtà stava dando i suoi frutti quella cultura unitaria e progressista che tanti di noi avevano vissuto negli anni ‘70-’80.
È quando si è rotta quell’unità che Foligno ha incominciato ad arretrare: se una folignate presidente di Regione non è sostenuta in primo luogo dalla sua città come può proseguire nel suo possibile terzo mandato? Non voglio essere general generico: un bravo Sindaco e brava persona come Salari si pronunciò pubblicamente, allora, contro il terzo mandato di Rita. Promosse l’interesse della sua corrente e del suo gruppo invece che quello della sua città. So che ora tanti contrasti di quel periodo sono superati ma il fatto non cancella errori politici tragici.
Se Foligno vuol ripartire occorre che torni unita: allora possono tornare investimenti e progetti per il suo decollo.
Come vedi la politica oggi e cosa pensi del crollo della sinistra? Sono stati solo i dissidi interni oppure sono stati abbandonati i valori fondanti che l’hanno caratterizzata?
La politica è per me l’arte del governo per il bene comune. Ma da Pericle a Salvini non possiamo definirla sempre cosi. Sono inorridito di come si discutano le virgole dei trattati di Dublino, senza peraltro risolvere nulla, mentre bimbi, mamme e padri giovani muoiono annegati. E sono indignato dell’indifferenza dei più: nel ‘68 applaudivamo il pugno alzato delle medaglie d’oro di Città del Messico o a ogni occasione eravamo in piazza contro l’eccidio dei vietnamiti. Troppo silenzio, da parte di tutti. L’appello di Alex Zanotelli ai giornalisti italiani perché parlino di Africa sta rimanendo nel vuoto. La sinistra si è persa non nei valori (moltitudini intere oggi sarebbero pronte a combattere) ma nella capacità di capire le trasformazioni strutturali del mondo. Ne deriva l’incapacità di orientare, di appartenere e dunque di lottare o governare per l’uguaglianza e la solidarietà. Non era per nulla difficile capire sin da dieci anni fa cosa sarebbe successo a Terni: una kafkiana ‘metamorfosi da farfalla a verme’ com’era successo nelle contee settentrionali della Georgia, dell’Alabama o dell’Ohio che avevano da tempo abbandonato i democratici e che recentemente hanno osannato Trump. I problemi della deindustrializzazione pongono l’esigenza di avere una visione e un orizzonte mondiale di impegno. La sinistra non pensa più, non studia e non discute: questa è la causa della sua inesistenza.
Adesso che cosa farà da grande Giorgio Raggi?
Studierò per capire e accompagnerò quelli ‘più piccoli’ che vorranno camminare… incominciando dal piccolo nipote che la vita mi ha donato.
Facciamo fantapolitica. Se un gruppo di amici, quelli veri, ti supplicasse di rifare il sindaco di Foligno cosa risponderesti?
Che siamo nel ventunesimo secolo e che un ritorno al Novecento non è né possibile né proficuo… compito della mia generazione – ammesso che ne sia ancora capace – è aiutare le nuove generazioni trasmettendo quel che può servire delle esperienze acquisite, purché non ci si crogioli negli amarcord o nella pura lamentela di ciò che non va. Troppo semplice, troppo da vecchi…

ROBERTO DI MEO

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