Il don che sussurrava ai ragazzi2

Il don che sussurrava ai ragazzi

Don Giordano Goccini, parroco della diocesi di Reggio Emilia ha incantato con le sue parole i ragazzi di Foligno presenti in massa, lo scorso venerdì all’apertura dell’Assemblea Diocesana in Piazza san Domenico. Dal palco ha lanciato provocazioni ma anche ispirazioni e carezze alle anime dei nostri giovani. L’intervista.

Sotto un sole splendente e con nelle orecchie le note rock provenienti dal palco di piazza san Domenico venerdì scorso si è aperta l’Assemblea Diocesana 2018: centinaia di studenti del triennio delle scuole superiori si sono ritrovati in gruppi, i circle life, per riflettere sugli esiti dei questionari somministrati a 2890 coetanei di tutti gli istituti scolastici della città. Guidati dallo speaker del Genoa Andrea Carretti e da Federica Sclippa della Pastorale Giovanile di Foligno, i ragazzi hanno interpretato il loro desiderio di felicità, di futuro e di una Chiesa nuova. Le risposte sono state commentate a caldo da don Giordano Goccini, parroco della diocesi di Reggio Emilia, che appena sceso dal palco ci ha dato la sua lettura di questo mondo giovanile sfidante e complesso.

Don Goccini oggi in piazza i ragazzi l’hanno ascoltata con attenzione reagendo alle sue provocazioni. Innanzitutto parlando della ricerca della felicità ha detto: “Non credo sia possibile raggiungerla da giovani”. Perché?

Io credo che la felicità sia una cosa da adulti. Quando hai deciso chi sei, quando hai fatto delle scelte, quando hai scolpito almeno i pezzi grossi della tua vita, allora ti alzi al mattino, indossi la tua esistenza e la riconosci. La felicità non è la semplice allegria, gioia: quella – è chiaro – appartiene ai giovani. La felicità è qualcosa di più profondo, riguarda il rapporto con se stessi e con la storia, con la propria vita che muore. La felicità comprende l’orizzonte della morte, per questo è da adulti. Vuol dire che ogni giorno è prezioso perché finisce, perché il tempo scorre e la nostra vita non è eterna; allora la felicità è possibile perché spendo questa vita in un’attesa più grande, in una speranza che cresce ma anche dentro a un ruolo, in un’identità che sento mia.

Colpisce la richiesta da parte dei ragazzi di legami e carezze per arrivare alla felicità: un desiderio che evoca una mancanza. Un appello toccante.

Troppi ragazzi non hanno una carezza, non hanno un orecchio che li ascolta, non hanno una parola di comprensione; per la verità anche molti adulti e molti anziani. In realtà in una società dove tutti ci muoviamo molto velocemente e dove tutti siamo interconnessi siamo anche in qualche modo tutti più abbandonati e dimenticati. Tutti vediamo sempre la nuca degli altri e mostriamo la schiena agli altri, andando non si sa verso dove. E’ forse il tempo di fermarci, ritrovare il silenzio, ritrovare il gusto e anche la gioia dei piccoli segni. Nel Vangelo di domenica prossima (23 settembre ndr) Gesù fa un gesto rivoluzionario: prende un bambino e lo abbraccia. In quell’abbraccio profondo, forte, vuole proprio dare un segno profetico ai suoi discepoli

I ragazzi si mettono a nudo e immaginando il loro futuro cercano la realizzazione di sé, parlano di alti e bassi ed è evidente la paura del domani e il timore di non farcela ad arrivare a quella realizzazione.

Gli standard sono diventati troppo alti; abbiamo caricato sulle spalle di questi ragazzi delle aspettative enormi. Io lo chiamo il “fardello evolutivo”: è come se portassero uno zaino di pretese da parte di noi adulti troppo grande e pesante. La maggior parte di loro sente che non ce la farà, non potrà farcela. Questo è fonte di depressione, è fonte di fuga, è fonte anche di quelle sfide che si inventano con la vita per dimostrare a se stessi e agli altri di essere di più di quello che percepiscono e che li porta su percorsi disorientati e sbagliati. Noi dobbiamo ridare aspettative reali ai ragazzi, dicendo cioè che la vita è bella anche nella semplicità, anche nell’anonimato delle tante vite che non trovano spazio nei libri di storia, che non salgono sui palcoscenici, non hanno la luce della ribalta che li illumina, non vanno a X Factor e nelle trasmissioni che loro bevono con grande ansia, con grande apprensione. La vita normale è una vita che è degna di essere vissuta, quella che appunto dove si diventa se stessi.

Arriviamo ad altri due temi di riferimento per il prossimo Sinodo dei Vescovi: che Chiesa immaginano i giovani e qual è la loro valutazione su papa Francesco? Più che di Chiesa (anche i giovani sono Chiesa!) sarebbe corretto parlare di gerarchie ecclesiali. “La Chiesa giovane è un ossimoro”: questa è un’altra delle sue provocazioni lanciate dal palco

La Chiesa come istituzione è proprio vecchia! E’ una Chiesa dove comandano i vecchi, si parla appunto di gerarchia; lo stesso Sinodo dei Vescovi Papa Francesco lo ha ribaltato completamente sei mesi fa, ha voluto incontrare 300 giovani rappresentanti dei giovani di tutto il mondo. Ma di fatto il Sinodo dei Vescovi è un Sinodo di vecchi e, aggiungerei, anche di maschi, dove ci sono delle istituzioni che hanno le rughe. Non per questo però non possono essere giovani, aperte di mentalità; in fondo un mese fa abbiamo incontrato a Roma il Papa con i giovani e ci ha dimostrato che pur 82 enne è più giovane di tutti i giovani che aveva davanti, continuando ad avere delle visioni e una grande energia nelle sue parole, una forza di pensiero che è difficile riscontrare anche nei ragazzi.

Su questo argomento le parole di riferimento emerse dall’incontro coi ragazzi sono: “No al bigottismo, sì a una Chiesa controcorrente”; i ragazzi chiedono poi “un pizzico di follia” e di “lasciare i vecchi schemi”.

Andare contro corrente è qualcosa che il Papa sta facendo. E’ evidente. Penso alla questione dei migranti, della società che fa scarti, penso alla sua accusa a un modello capitalistico spinto, di finanza aggressiva che sta divorando i beni e il patrimonio dei popoli poveri della Terra. Prima ai ragazzi dicevo che quando si va controcorrente ci si urta, ci si fa anche un po’ di male, si dà fastidio a qualcuno; è evidente che l’atteggiamento del Papa da fastidio. Del resto ci vuole una Chiesa che sappia andare controcorrente: una Chiesa che seguisse sempre l’onda sarebbe una Chiesa che tradisce il suo Maestro pronto ad andare controcorrente fino alla Croce. Il pizzico di follia è fondamentale perché nel futuro noi possiamo proiettarci, progettare, mettere avanti tutte le nostre cose. La Chiesa cammina sapendo che dietro l’angolo c’è sempre un incontro, che ogni passo, ogni curva, ogni momento del suo cammino può riservare uno squarcio di luce nuova, qualcosa di inaspettato che la proietta dentro a qualcosa di più grande, non prevedibile, non progettabile. Quindi facciamoli i programmi, facciamo i progetti pastorali: dobbiamo costruire il futuro. Ma un po’ di spazio lasciamolo anche alla follia, alla fantasia, alla creatività: a tutto quello che ancora non conosciamo.

FEDERICA MENGHINELLA

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