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È tempo di semina!

Parafrasando un pensiero di Tertulliano è possibile dire: “È semenza il sangue di Feliciano”. Continui ad esserlo per la nostra diocesi di cui è fondatore e per la nostra città della quale è difensore! La sua intercessione ci aiuti a riconoscere che, nella chiara distinzione dei ruoli e delle finalità, la Foligno positivamente “laica” e la Foligno della fede sono chiamate a concorrere al bene comune e a custodire la linfa delle loro radici e i tratti caratteristici della loro storia. Come a livello nazionale c’è bisogno di statisti affidabili, così a livello locale non possono mancare amministratori autorevoli. Tanto gli uni quanto gli altri non spuntano come funghi, ma germinano nel terreno di sistemi di valori organizzati, di visioni politiche aperte coraggiosamente sul futuro, non chiuse su interessi particolari di una città, di una regione o di una nazione. Sono molteplici le condizioni che rendono possibile la crescita di uomini e donne con una visione serenamente laica della cosa pubblica, disposti a dedicarsi all’impegno socio-politico descritto da Paolo VI, nella lettera apostolica Octogesima adveniens, come espressione della caritas nella polis: “È una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri”.

Amministratori e statisti che intendano esercitare autorevolmente il mandato ricevuto, conferito loro dal popolo sovrano, devono essere liberi da vischiosità provinciali e aperti a orizzonti d’impegno “al dovere della pace”, a partire da quella sociale. Non sono chiamati “a occupare spazi ma ad avviare processi”, a far prevalere l’unità sul conflitto, a esercitare l’arte della mediazione, ricercando non una convenienza tattica, ma una convergenza strategica, alla cui base ci sia la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo di “stile di costruzione della storia”. Inoltre, coloro che aspirano a diventare veri amministratori e autentici statisti non si fanno sedurre dall’ambizione di rassomigliare ai cittadini, ma si lasciano guidare, unicamente, dal desiderio di far crescere la società. Nel 1973 Aldo Moro scrisse un articolo su L’Opinione, in cui diceva che il politico deve saper orientare la società. Giulio Andreotti su Concretezza replicò che un politico, in democrazia, non deve orientare il cittadino, ma solo rassomigliargli. Anche se i fatti danno ragione ad Andreotti, non si può non essere “morotei”: “popolari”, non “populisti”! Amministratori e statisti che, con sano realismo, studiano i dossier e non smanettano sul web, cadendo in scorciatoie demagogiche, sanno bene che la “carità politica” non prescinde dalla “carità intellettuale”. La politica, essendo “l’arte della costruzione del possibile e non della gestione dell’esistente”, ha bisogno di leader capaci di ascoltare i “ceti popolari” e di dialogare con gli “uomini di cultura”. L’azione incisiva per la soluzione dei problemi sociali richiede l’analisi degli elementi essenziali delle questioni, pena l’inefficacia e la perdita della concretezza.

Infine, ciò che contraddistingue un amministratore competente e uno statista lungimirante è il fatto che, avendo a cuore sopra ogni cosa la ricerca del bene dei cittadini e il rispetto della dignità umana, non ignorano la voce della minoranza, non si lasciano condizionare dalla ricerca di un consenso immediato e di soluzioni di corto respiro. Chi governa con l’assillo di essere rieletto si candida a diventare inaffidabile e si espone al rischio di dimenticare che “la politica è il terreno dove si costruisce il bene comune”, in quanto “bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo”. Perdere la gloria per salvare l’onore” è l’unico “vitalizio” che un uomo politico, di qualunque appartenenza culturale e religiosa, dovrebbe cercare di ottenere, “praticando quelle virtù umane che soggiacciono al buon agire politico: la giustizia, l’equità, il rispetto reciproco, la sincerità, l’onestà, la fedeltà”. “Imparare a congedarsi” è un programma a cui non può rinunciare chi ha scelto l’impegno socio-politico nei suoi diversi livelli. “Si cede a tale tentazione – avverte Papa Francesco – quando, ad esempio, si ricerca l’esclusivo profitto personale o di un gruppo, piuttosto che l’interesse di tutti; quando l’eccessivo attaccamento al potere sbarra di fatto il ricambio generazionale e l’accesso alle nuove leve”. Sarebbe anch’esso un peccato di omissione simile a quello commesso da quanti, sottraendosi ad un coinvolgimento diretto, cedono alla tentazione dell’indifferenza, oltre che dell’irrilevanza, e non si lasciano interrogare dall’urgenza di avviare una stagione nuova, che chiede ai cattolici l’attenzione a coniugare, senza riserve e pregiudizi clericali, “l’integralità del cristianesimo con il rispetto della laicità della politica”.

MONS. GUALTIERO SIGISMONDI

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