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La Historia del torchio

Non solo Dante, anche Manzoni è stato stampato per la prima volta a Foligno

Tutto è bene ciò che finisce in matrimonio. La Historia degli sfortunati, ma alla fine non troppo, promessi sposi di Lecco, tocca Foligno da vicino. Un fulmine a ciel sereno per la città dello Jacobilli e del Frezzi. La città della prima stampa della Commedia di Dante, come non bastasse, possiede il torchio che impresse per primo il capolavoro manzoniano. Beati i primi, non solo d’Italia. Per decenni custodito sotto metri di polvere della Tipografia Sociale, oggi quel torchio fabbricato a Monza nel 1840 balza agli onori della cronaca nazionale. Il sugo della storia, come scrive Manzoni alla fine del suo romanzo, è che “i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani, e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore”. La stessa provvidenziale fiducia la sta mostrando Enrico Pellegrini, cocciuto titolare della tipografia che gestisce insieme al figlio 25enne Nicola, più ostinato del padre. Nicola, non privo di piercing e tatuaggi, invece di andare a rinforzare la schiera degli studenti/camerieri italiani a Londra, ha deciso di portare avanti l’arte di Gutenberg di Magonza, in via della Rosa, numero 8, per l’esattezza. A cagionare il guaio manzoniano fu, in verità, Luca Radi, sornione vice presidente della Pro Foligno, che ha subito posto sotto locale veto/adozione il marchingegno. Ma non la notizia, che ha fatto rimbalzare sul Corriere della Sera. Tutto cominciò grazie alla donazione del marchese Filippo Villani al titolare della Tipografia Sociale di Ancona, Domenico Barilari, di un torchio con il quale questi aprì l’attività di stampatore. Si trattava di un Amos dell’Orto, primo modello stanhope italiano, proprio quello con cui fu stampata, nel novembre del 1840, la prima copia dell’opera manzoniana. “Vi è prova” dice Radi “che attesta l’autenticità del torchio, nel periodico Lucifero. Dalla tipografia anconetana a Foligno, dove il torchio fu traferito, il passo è breve e documentato”. Nel 1970, in occasione del centenario della rivista, fu stampata un’edizione speciale, contenente alcune pagine del primo numero. All’interno, in una colonna, si certificava che il torchio utilizzato per dare vita alla rivista era lo stesso con cui venne stampata la prima copia de “I promessi sposi”. Et voilà! “Più che un indizio questa è una prova” giura Luca. Ora non facciamone un museo, di quella tipografia, ma un luogo fecondo di lavoro per un giovane volenteroso e temerario che ha scelto di rimanere a Foligno. Si sa, i tipografi sono pazzi, dipenderà dall’inchiostro che sono costretti a respirare. Lo sono ancor di più nell’era della rete. Eppure, vuoi vedere che ci hanno preso? Gira voce che col torchio ci stamperanno le partecipazioni a nozze dei novelli promessi sposi. Perché se il matrimonio è ovunque in crisi, di sposi fighetti che bramano farsi torchiare con i tipi della Historia se ne trovano tanti. Basta farglielo sapere. Qui la rete può tornare utile, perché le prenotazioni potrebbero arrivare dal web. La morale della favola di via della Rosa è la seguente. Il matrimonio più azzeccato è quello che si celebra tra il nuovo e l’antico, tra l’immaginario manzoniano e l’ineffabile capacità di penetrazione della rete. Altro che museo della stampa.

FRANCESCA FELICETTI

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