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Accoglienza umanitaria e rigore per sconfiggere il terrorismo

Sono passati due anni dal massacro terroristico nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo a Parigi e dall’attentato al centro commerciale Cacher che seguì 48 ore dopo. Due anni segnati da altri violenti attentati fino a quello di Berlino alla vigilia di Natale. Anni di violenza e paura che stanno cambiando la vita di interi Paesi e quella di ciascuno di noi.

Negli ultimi settant’anni il nostro Paese ha dovuto fare i conti con molte emergenze che hanno messo in discussione sicurezza e vita dei cittadini (terrorismo rosso e nero, bombe e stragi nelle piazze e stazioni), mai però siamo stati chiamati a difenderci da un pericolo esterno.

Mai avremmo immaginato di vivere le festività di fine anno “blindate”, di entrare nelle piazze più belle attraverso varchi presidiati da uomini armati, di accedere agli spettacoli sottostando al controllo di metal detector. Proprio le ultime considerazioni del Capo della Polizia Franco Gabrielli hanno riproposto l’interrogativo su quali rischi oggi corre il nostro Paese. Il Governo lo ha ripetuto più volte in questi due anni: la follia terrorista può colpire anche l’Italia. Non è un modo per mettere le mani avanti né tantomeno creare allarmismo, piuttosto la consapevolezza che il rischio zero non esiste.

In queste circostanze la prudenza è d’obbligo, soprattutto dopo l’uccisione di Anis Amri alle porte di Milano nel conflitto a fuoco con la Polizia. Per queste ragioni, in queste ore, il Ministero dell’Interno sta lavorando su un testo che renda possibile l’equazione “accoglienza umanitaria e rigore”.

Un’accoglienza diffusa ed equilibrata a piccoli gruppi su tutto il territorio nazionale, possibilmente di uomini ma anche di donne e bambini. Contemporaneamente, messa in campo di ulteriori strumenti adeguati per prevenire e contrastare ogni forma di radicalizzazione destinate soprattutto ai giovani.

La scommessa più importante diventa proprio la “de-radicalizzazione”, con il recupero di soggetti caduti nella rete della propaganda che a loro volta cercano di reclutare altri giovani.

Bisogna creare una narrativa alternativa usando proprio quegli strumenti intorno cui tutto ruota, come la rete e i social network. La prevenzione richiederà sempre di più un approccio multidisciplinare se si vorrà evitare quanto è avvenuto in Francia o in Belgio dove si è puntato solo sulla repressione. Naturalmente intelligence e controllo del territorio restano i due pilastri del sistema sicurezza del nostro Paese.

Soprattutto a fronte di una crescente pressione migratoria e di uno scenario internazionale connotato da instabilità e minacce, l’attività di controllo resta l’iniziativa più efficace di prevenzione e contrasto.

Per questo i Prefetti di tutta Italia sono stati sollecitati ad attuare piani straordinari volti non solo al contrasto dell’immigrazione irregolare, ma anche allo sfruttamento della manodopera e alle varie forme di criminalità che attingono dal circuito della clandestinità. L’intenzione del Governo è di riportare gli irregolari nei Paesi d’origine, attraverso accordi di sviluppo con gli stessi.

Attualmente soltanto l’Egitto, la Tunisia e la Nigeria accettano di riprendere i propri connazionali, tra mille difficoltà con l’impegno di Roma a organizzare voli charter per il rientro. Per questo nei prossimi giorni il Ministro dell’Interno continuerà la sua missione in Africa con l’obiettivo di firmare accordi bilaterali con altri governi che prevedano l’avvio di progetti di sviluppo in quelle aree e la creazione di aiuti per scoraggiare le partenze. A cominciare dalla Libia, dove si ritrovano le persone che vogliono raggiungere l’Europa transitando per l’Italia.

Per ricapitolare, sul versante emergenza immigrazione il piano, che sembra piacere anche all’Europa, prevede quattro punti: semplificare le procedure di accoglienza, accordi con i Paesi di origine, accoglienza diffusa rinnovando gli incentivi ai comuni che accolgono, rimettere in piedi un numero congruo di centri per l’identificazione e l’espulsione.

In tutto questo la nostra Umbria quali rischi corre? Per le nostre città vale la stessa conclusione fatta per il resto d’Italia: il rischio zero non esiste. Quello che è certo è che il sistema di sicurezza umbro può contare su competenze e professionalità tra le migliori che abbiamo nel nostro Paese.

ON. GIANPIERO BOCCI

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