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Se ci fossero porte non si scavalcherebbero muri!

I migranti attendono di essere riconosciuti nella loro identità di “patrimonio dell’umanità”! Questa espressione culmine della predicazione e dell’annuncio sviluppato dal Vescovo Gualtiero nell’omelia del Pontificale di san Feliciano non può rimanere tra le mura del Santuario della Madonna del Pianto. Tanto meno può limitarsi a quel giorno di festa e di buone intenzioni. Sicuramente non può ridursi a motivo di polemiche o cinguettii su cui cliccare “like” o “don’t like”. Essendo un atto solenne in un contesto sacro e fondativo per la comunità cristiana locale è importante farne tesoro. Come ogni patrimonio ereditato è opportuno comprenderne il valore, sapere come custodirlo e soprattutto studiare strategie per spenderlo e investirlo. Papa Francesco alla Chiesa Universale e Mons. Sigismondi alla Comunità locale hanno dato delle linee e delle prospettive su cui orientarsi e incamminarsi in un sereno clima di dialogo, confronto e, specialmente, di collaborazione. La prima traiettoria da intercettare è quella di un cambio di sguardo, dal profugo alla persona. Questo concetto, che ha reso grande e unica la cultura e la storia dell’Europa, non ammette e non può arenarsi nella secca logica dualistica bisogno o valore, problema o risorsa, minaccia o futuro. Infatti se ci fermiamo al primo termine del dualismo si cade nella totale mancanza di rispetto e si radicalizzano i giudizi e le soluzioni. Se cadiamo nel termine opposto si rischia l’utilitarismo, lo sfruttamento mascherato di buonismo, e sicuramente un po’ di ingenuità. La fede ci insegna che la persona non è solo bisogni, né solo valori. Per noi la persona è mistero, e come tale va accolta nei sui talenti e nei sui peccati: i primi, insegna la Scrittura, vanno investiti e moltiplicati, e i secondi corretti e perdonati. Gesù, nel Vangelo di Giovanni, usa un’immagine che mentre il Vescovo sviluppava la sua omelia è saltata alla mente: “In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante” (Gv 10,1)… che poi continua… “Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore” (Gv 10,6)… e conclude Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore” (Gv10,9). Interessante notare come Gesù sposti l’attenzione dal recinto alla porta. La questione è chiara: chi passa o meno dalla porta. Il problema non è la presenza dei muri, ma l’assenza delle aperture. Costruiamo recinti, ma blindiamo i cancelli. Il disagio più profondo non sono le pareti, ma le ante sprangate. Non turba solo l’altezza del muro spinato, ma soprattutto l’ampiezza del portone sigillato. Il Vangelo al massimo parla di porta stretta, ma non chiusa. Noi confondiamo la porta con le fessure nelle quali si infilano gli insetti, e le serrature con gli spifferi che innescano correnti. Se è lecito e giusto impedire ai briganti di scavalcare i recinti, è inaccettabile e ingiusto impedire ai pastori di passare per la porta. Come insegna il Libro dell’Apocalisse gli accessi vanno notevolmente moltiplicati e raffinati: Le sue porte non si chiuderanno mai… ma… non entrerà in essa nulla d’impuro, né chi commette orrori o falsità (Ap 22, 25-27).

DON GIOVANNI ZAMPA

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