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Unioni civili, opinioni a confronto

Sono i temi del momento e la Gazzetta di Foligno ha deciso di affrontarli chiedendo una riflessione a Gianluigi De Palo, meglio conosciuto come “Gigi”, e Roberto Segatori.

“Continuiamo a non fare nulla per le famiglie”

gigi de palo
Gianluigi De Paolo, 39 anni, è sposato e ha quattro figli: da sempre attivo in ambito associazionistico e formativo, è stato Assessore alla Famiglia, alla Scuola e ai Giovani di Roma Capitale ed è attualmente Presidente Nazionale del Forum delle Associazioni Familiari.

Siamo stati più di sei mesi bloccati a parlare di unioni civili e di adozione alle coppie omosessuali, abbiamo spaccato un Paese sulla stepchild adoption, abbiamo riempito i talk show con contrapposizioni ideologiche, ma alla fine, ancora una volta non abbiamo fatto nulla per le famiglie italiane. Sono quarant’anni che tutti i governi si riempiono la bocca della parola famiglia, senza mai concretizzare alcunché. Eppure i dati sono chiarissimi: stiamo attraversando la più grave crisi demografica dalla seconda guerra mondiale, un inverno demografico che, paradossalmente, sembra non interessare nessuno: né la politica, né gli imprenditori, né i media. Una crisi demografica spaventosa perché oltre a non fare più figli, quelli che abbiamo fatto lasciano l’Italia appena laureati andando a realizzare i loro sogni lavorativi e familiari all’estero. Non solo siamo sempre di meno, ma ci siamo anche rassegnati al pensiero che tanto non cambierà mai nulla. E allora, nonostante i giovani tra i 18 e i 29 anni dichiarino ancora di volersi sposare e di avere due o più figli, alla fine fuggono perché non riusciamo a metterli nelle condizioni di concretizzare i loro desideri. E non potrebbe essere altrimenti se viviamo il paradosso in cui, in un Paese demograficamente morto, una delle prime cause di povertà continua ad essere il mettere al mondo un figlio! Quello che preoccupa è il fatto che la politica sembra essere più preoccupata ad un Paese virtuale che non a quello reale. Si invertono slogan e priorità. Si insegue il titolo sul giornale mentre si abbandonano i cittadini. C’era proprio bisogno di questa legge? Sinceramente no. Scritta malissimo rischia di essere impugnata perché presenta elementi di incostituzionalità. Scimmiotta il matrimonio e, allo stato attuale, invita i giudici (che infatti già lo stanno facendo) ad intervenire dirimendo i singoli casi controversi relativi all’adozione di quei bimbi che vivono in una coppia omosessuale. Ma lo vogliamo dire che un bimbo è soggetto di diritto e non oggetto di diritto da parte di un adulto? Almeno questo punto fermo lo vogliamo mettere? Ci interessa ancora tutelare il più debole? Non è più il tempo di battaglie ideologiche che riguardano poche migliaia di persone. Le famiglie sono stanche di supplire alle mancanze di uno Stato miope. «Tanto la famiglia regge», questo il pensiero sottile che ci ripetiamo da anni. Purtroppo i nodi sono arrivati al pettine. Diminuiscono i matrimoni (perché dovrei sposarmi se facendolo mi ritrovo in coda alle liste di attesa per il nido e la mensa scolastica?) e non si fanno più bambini. Il desiderio ancestrale e antropologico che abbiamo dentro, quello di sposarci e di fare famiglia va promosso e sostenuto attraverso politiche fiscali serie perché, diciamocelo, oggi come oggi, chi mette al mondo un figlio è un eroe. Ma la vera domanda è: ha ancora senso prendersi un impegno a tempo indeterminato in un Paese che ti spinge ed incentiva ad avere legami fragili e a “progetto”? Quale idea di uomo, di famiglia, di vita e di futuro c’è in chi ci rappresenta? Siamo arrivati ad un punto di non ritorno. O lo comprendiamo o saremo costretti ad accettare il fatto di vedere i nostri figli su Skype, nuovi emigranti per necessità e non per scelta.

GIANLUIGI DE PALO

“Una buona legge per l’oggi”

Roberto Segatori, sociologo folignate, non ha bisogno di presentazione, perché conosciamo il suo impegno intellettuale e l’attenzione alle problematiche contemporanee che ha trasmesso anche alla figlia Sara, giornalista Rai.
Roberto Segatori, sociologo folignate, non ha bisogno di presentazione, perché conosciamo il suo impegno intellettuale e l’attenzione alle problematiche contemporanee che ha trasmesso anche alla figlia Sara, giornalista Rai.

Sono questi gli aspetti più dibattuti della legge sulle unioni civili approvata al Senato: due persone maggiorenni dello stesso sesso possono costituire la loro unione davanti all’ufficiale di stato civile del Comune alla presenza di due testimoni; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Da tale legame nascono i diritti all’eredità e alla reversibilità della pensione. Sono invece esclusi l’obbligo della fedeltà reciproca e la possibilità di adottare. L’unione può sciogliersi con una manifestazione di volontà anche disgiunta sempre davanti all’ufficiale di stato civile. All’unione civile non è attribuito il nome di matrimonio, e il suo fondamento risiede negli articoli 2 (la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità) e 3 (pari dignità e uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge) della Costituzione.
Tralasciando la parte relativa alle coppie di fatto eterosessuali, la prima cosa da osservare è che con questa legge finisce una secolare discriminazione che ha attribuito ai gay una condizione di malati e peccatori. Un pregiudizio crudele – senza fondamento scientifico o etico – di cui continuano a soffrire milioni di omosessuali che hanno ancora paura a dichiararsi tali alla luce del sole.
Detto questo, resta la domanda su come valutare questa legge. Per un giudizio appropriato mi sembra utile chiamare in causa due criteri fondamentali: il principio della realtà e il principio dell’idealità, che spesso si riduce in ideologismo.
Per il principio di realtà abbiamo un immediato riscontro empirico: un attendibile sondaggio svolto da Ilvo Diamanti ci dice che il 69% degli italiani è favorevole alle unioni civili, mentre solo il 37% accetta la cosiddetta stepchild adoption.
Il ricorso a criteri ideologici è stato praticato tanto da esponenti del pensiero liberal-radicale quanto da fondamentalisti cattolici. I primi, richiamando l’articolo 3 della Costituzione, hanno voluto riaffermare il principio dell’assoluta libertà dei comportamenti individuali, laddove essi non procurino danni ad altri. Questa legittima posizione ha finito col diventare ideologica quando si è scontrata con la valutazione di quel 63% di italiani non (ancora) convinto che l’adozione di minori da parte di omosessuali sia una cosa del tutto positiva.
Un atteggiamento ideologico più pesante è però venuto da quei cattolici fondamentalisti che hanno spinto per imporre un loro modello di convivenza “unica giusta”. Un atteggiamento che resta intollerante sulle unioni civili di omosessuali (verso i quali perdura il vecchio pregiudizio di condanna), e che non tiene conto del fatto che nel mondo contemporaneo i modelli di convivenza sono diversi, come è ben chiaro a Papa Francesco che proviene dal Sud America.
Massimo Gandolfini, portavoce del Family Day, insiste ancora col dire: “Noi puntiamo a far saltare tutta la legge”. Peccato che dimentichi che la nostra democrazia si fonda proprio su quegli articoli 2 e 3 della Costituzione di cui egli sembra farsi beffe. Che si scordi la lezione degli anni settanta, quando la maggioranza degli italiani disse a prelati oscurantisti e ad un Fanfani stizzito che il divorzio andava senz’altro introdotto e che l’interruzione volontaria della gravidanza praticata nelle strutture pubbliche era da preferirsi all’abominio dell’aborto clandestino. E che ignori infine la sola legge che Gesù ci ha lasciato: quella dell’amore.

ROBERTO SEGATORI

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