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Un nuovo umanesimo. La cultura dell’accompagnamento

ok - Un nuovo umanesimo - CopiaLa Gazzetta ha chiesto a S.E. mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, di presentare il libro “Sorella morte – la dignità del vivere e del morire” (Piemme edizioni) di cui è autore.

Il tema è complesso ma, sebbene sembri banale o addirittura sarcastico dirlo, è sempre attuale e assolutamente trasversale. Nella società in cui si cerca di anestetizzare afflizioni e angosce, in cui conta esclusivamente un narcisistico individualismo volto allo stare bene, con scarsa preoccupazione per quello degli altri, la morte è diventata una specie di tabù, un argomento che è preferibile non toccare. Un po’ come fanno i bambini quando hanno paura del buio: “Se non ne parlo e non mi ci trovo, non esiste”.

Certamente alcuni recenti fatti di cronaca hanno rilanciato un dibattito mai totalmente assopito, ma nemmeno mai realmente affrontato. Ha impressionato tutti noi la drammatica vicenda di Dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, che, rimasto cieco e tetraplegico a causa di un incidente stradale, ha deciso di ricorrere al suicidio assistito in una clinica svizzera, definendo la sua vita priva di senso e desideroso di porre fine a quell’agonia.

Il dolore degli altri deve interrogarci, tuttavia vanno evitati giudizi sommari o strumentalizzazioni volte a influenzare in un modo o nell’altro l’opinione pubblica. Si è chiesto a gran voce un intervento legislativo: probabilmente c’è bisogno di qualcosa in tal senso, ma è errato legiferare sull’onda dell’emergenza emotiva o partendo da un triste e desolante caso individuale.

Di sicuro è fondamentale adoperarsi in ogni modo per debellare dolore e sofferenza, pur sapendo che non è possibile eliminarli del tutto. Ma fino a dove può spingersi una normativa? La vita e il mistero che l’accompagna non sembrano potersi racchiudere in norme giuridiche e bisogna ammettere che dinanzi alla morte anche i cristiani a volte si dividono e risultano disorientati, forse essi stessi impauriti dallo “scandalo della Croce”, incapaci di trovare un senso nella sofferenza.

Ma la riflessione sulle realtà ultime accomuna ogni persona, credente o non credente, anche perché la stessa coscienza umana è in evoluzione: ciò che si riteneva giusto o accettabile migliaia di anni fa, attualmente è considerato inammissibile e insopportabile.

Di sicuro oggi come ieri l’uomo non ama morire da solo. Ecco che la cultura dell’accompagnamento prospettata da mons. Paglia nella sua opera è una delle strade da battere per assicurare il bisogno di relazioni e reciprocità, soprattutto nel momento del passaggio: “Un nuovo umanesimo per vivere meglio e per morire degnamente”.

Se la vita stessa è un mistero le cui vie di arrivo e partenza ci sfuggono, la sfida è quella di non far calare il sipario su un argomento che si cerca di esorcizzare. E la speranza di ogni credente è di avvicinarsi al momento del passaggio con lo stato d’animo descritto da San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (2Tm 4,7).

ENRICO PRESILLA

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