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Pioggia ed applausi sulla Quinta strada

Io non ci credevo: “La Quintana si trasferisce a New York, sfilerà sulla Quinta strada per il Columbus Day!” E i trasferimenti dei vestiti, delle sottogonne con i cerchi, delle scarpe voluminose, dei tanti ornamenti per le acconciature, dei tamburi, dei cavalli, delle insegne, del gonfalone…? Non so se conoscete bene i Quintanari e la loro passione (Amor che move il sole e le altre stelle). È opportuno che l’istituzione comunale affianchi la missione quintanara, parte anche la vicesindaco, cioè io. Due valigie ciascuno: una personale, una con sottogonne, scarponi, capelli posticci, tutto ciò che serve per trasformare le donne in dame e gli uomini in nobili cavalieri. Partono anche, con bagagli speciali, tamburi e, soprattutto, il gonfalone.  Insomma rimangono a casa solo i cavalli. Partenza ore 4.30 del 7 ottobre da Foligno per Milano e poi per New York, si andrà a dormire esattamente 24 ore dopo. Il nostro hotel è sulla 52° strada, all’incrocio con la Broadway, a due passi dalla prestigiosa Quinta strada. Il giorno 8 ottobre incontriamo il Console italiano proprio al Columbus Circle, mi parla di una mia carissima ex alunna folignate che lui, così come me, stima infinitamente e che gli ha parlato della sua vecchia insegnante (orgoglio e commozione) e prendiamo accordi per il giorno dopo. Alla scoperta di New York: Wall Street, il ponte di Brooklyn, il suggestivo complesso sorto al posto delle Torri Gemelle. Una preoccupazione aleggia su tutti noi, il meteo prevede pioggia per il giorno successivo, dita incrociate. Arriva il fatidico 9 ottobre, il giorno del Columbus Day. Per noi donne, vittime della nostra vanità, sveglia all’alba: turni rigidi per accedere al servizio acconciature capelli; io sono abbastanza fortunata, ho appuntamento alle sei. Dov’è il salone dei parrucchieri? Alla camera numero 1214. Quando entro, con al seguito corone, perle, capelli finti, non credo ai miei occhi: tre postazioni, una sulla sedia e due sui letti di acconciatori che manovrano phon, spazzole, forcine, lacca… altre tre postazioni per trucco. Sui quattro letti sono sparsi ombretti e matite di tutti i colori, pennelli, ciprie, rossetti, togliocchiaie, copribrufoli… potrei continuare per molto. Tutti aiutano tutti. Finiti i restauri, dobbiamo indossare i vestiti. Non entriamo nell’angusto spazio delle camere. Parola d’ordine: occupiamo i corridoi! E così facciamo. Io convivo con le mie paranoie: cadrò dalle scarpe, inciamperò nella sottogonna sempre troppo lunga, se pioverà non ce la farò a trascinare il già pesante vestito di velluto siberiano. Di nuovo un assalto di orgoglio: si scende. Espressioni ammirate di tutto il personale dell’albergo, una grande soddisfazione. Appena usciamo tutti dall’albergo, inizia a piovere. Rinunciare? Nemmeno ci viene in mente. Il personale d’albergo ci mette a disposizione alcuni grandi ombrelli. Comincia la sfilata sulla Quinta strada, l’accoglienza è strepitosa, ci salutano, ci applaudono, ci mandano baci, vogliono foto con noi. Partono i servizi su tutte le reti tv, le interviste. L’acqua ci scivola sul viso, spesso togliamo gli ombrelli per mostrare al meglio i nostri costumi, ma l’orgoglio, la commozione, il senso di appartenenza sono più forti di tutto. Foligno, le sue istituzioni, la sua Quintana sono al centro di New York, sfilano anche per tutti quegli Italiani che hanno dovuto lasciare la loro patria per andare a cercare L’AMERICA. I tamburini danno l’anima, segnano il ritmo del corteo con le camicie incollate alla pelle, ma i tantissimi, calorosi applausi li ripagano di tutto; il ragazzo che porta il gonfalone è un eroe, talora è assalito da folate di vento che lo sballottano qua e là, ma lui resiste, non si farà mai sostituire. Ritorniamo in albergo grondanti d’acqua e di soddisfazione. Nel pomeriggio il Console riceve una nostra delegazione ad una cerimonia ufficiale, insieme ad altre delegazioni, io indosso con orgoglio la fascia che rappresenta la nostra città. Il giorno successivo si svolge la conferenza stampa per presentare le nostre attrattive turistiche ed enogastronomiche. Ho capito finalmente che cos’è il fenomeno Quintana, non la gara, non i bellissimi costumi, gli stupendi cavalli. È un modo di essere, di lasciarsi travolgere dalla follia del voler riuscire, di tirarsi dietro tutti, di condividere, di collaborare, di sentirsi inglobati e di riconoscersi in un mondo di valori, dalla goliardia al coraggio, dalla solidarietà al divertimento, dalla bellezza alla ricerca della vittoria. E da fuori tutto ciò non si può capire!

RITA BARBETTI

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