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DALLA GUERRA DEI MANIFESTI ALLE RIUNIONI PSEUDO-CLANDESTINE

Le stagioni elettorali non sono più come quelle di una volta. Allora sì che dava gusto, anche se a volte ci scappava qualche scazzottata notturna. Adesso i tabelloni restano vuoti e solitari e i muri della città finalmente sono ecologicamente corretti. Nel senso che non sono più impiastricciati di faccioni sorridenti appiccicati da squadre notturne d’assalto con in mano una grande scopa di saggina e secchi di colla. E più la campagna elettorale si avvicinava al fatidico giorno del voto, più le squadre notturne imperversavano in città innescando la guerra dei manifesti. Poteva capitare a volte che tra avversari ci si incrociasse e allora… Ricordo, erano gli anni ‘70, che una notte, armati di colla e scopa, noi giovani della Dc avevamo progettato di ricoprire i manifesti dei candidati del Pci. Erano circa le tre e ci trovavamo lungo il grande muro che ancora costeggia la ferrovia. Mentre eravamo pronti al grande raid ecco spuntare dal buio quelli che noi chiamavamo gli ‘attacchini rossi’. Brandendo le scope a mo’ di clava ci siamo schierati di fronte, manco fossimo Orazi e Curiazi. L’ordine di attacco, però, non arrivava. Ad un certo punto qualcuno intonò Bella Ciao. E quella canzone diventò, improvvisamente, un inno collettivo. Le scope si abbassarono e poi tutti insieme decidemmo di coprire tutti i manifesti fascisti. Inconsapevolmente, noi che avevamo lasciato da poco i calzoni corti, avevamo già capito che bisognava trovare un cammino comune per salvare la Democrazia. E di lì a qualche settimana facemmo insieme una grande manifestazione per il voto ai diciottenni con un concerto di Francesco de Gregori e Antonello Venditti. In ottomila riempirono il vecchio stadio. Oggi invece tutti fanno riunioni quasi carbonare. Si vedono nei teatri, in salette private, e vanno nei talk-show solo per urlare. Mentre le piazze sono rimaste vuote e senza popolo.

ROBERTO DI MEO

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