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Figli di mare e figli di terra

Dalla dicotomia mare/terra ne scaturisce un’altra, che supera l’estensione geografica per ricollegarsi a quella più intima e, per certi versi, più dolorosa: quella dell’opposizione tra permanenza e distacco. Se il mare allude alla fuga e al distacco – e metaforicamente alla necessità di allargare le proprie conoscenze al sentimento dell’ignoto – al contrario la terra allude alla permanenza. Parlo della terra umbra, la nostra, questa terra bistrattata, infeconda, incapace di offrire lavoro. Eppure c’è ancora chi si ostina a rispettare le proprie origini, chi si sforza di costruire sul passato. Tra desiderio di lasciare e voglia di partire si arrovellano i nostri figli, mentre l’Umbria – che con il voto ha ribadito la smania atavica di appartenere al Nord – somiglia sempre di più ad una regione del Sud. Ma anche a quella regione di emigrati che per scampare alla fame alla fine dell’Ottocento furono costretti agli addii, all’incontro e allo scontro con le diverse realtà straniere. Portate i vostri figli a Gualdo Tadino a visitare il Museo dell’Emigrazione Pietro Conti; perché forse saranno cambiate le illusioni e i dolori quotidiani, saranno diverse le nuove realtà che inducono i giovani a partire, ma anche quella di oggi è migrazione verso un mondo ritenuto, forse a torto, migliore. La storia si ripete per i figli di mare e per i figli di terra. E anche per quelli venuti dal mare. Altro che inciuci post elettorali.

GIOVANNI PICUTI

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