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Salute, la povertà è la vera minaccia.

Ognuno di noi deve potersi curare. Lo afferma con forza la Costituzione italiana. Ma per coloro che vivono in povertà, nonostante quello che è scritto nella Carta, accedere alle prestazioni mediche può diventare assai difficile. Alle volte, addirittura impossibile. Per capire, nello specifico, quali sono i problemi veri da risolvere con urgenza, abbiamo chiesto informazioni al dr Mauro Zampolini, Specialista in Neurologia e Medicina Fisica e Riabilitazione, direttore del Dipartimento di Riabilitazione USL Umbria2.

Dr Mauro Zampolini, in tutta Italia ci sono persone che non si curano per mancanza di soldi. Cosa sta succedendo?

La presenza di nuove povertà è un problema che va al di là delle cure sanitarie. Sempre più persone fanno fatica a raggiungere la fine del mese, in questi tempi di crisi finanziaria. Nello specifico, la sanità dovrebbe dare sempre una risposta, indipendentemente dalla disponibilità economica. Questa possibilità c’è all’interno delle procedure, anche se, talvolta, le persone possono sfuggire dai percorsi pubblici per poi scoraggiarsi e, in qualche modo, uscire dalla tutela sanitaria. Con le associazioni dei pazienti abbiamo cercato di arginare questo fenomeno con un piano di recupero di queste persone per riportarle all’interno del sistema sanitario, attraverso ambulatori dedicati a tale scopo.

Secondo i dati dell’Istat, nel 2018 quasi 4 milioni di persone che hanno rinunciato agli esami o alle prestazioni mediche proprio a causa di problemi economici. Nella USL Umbria2, qual è la situazione?

Purtroppo anche da noi si verificano situazioni di sconforto legate, in gran parte, agli aspetti economici che portano le persone fuori dai circuiti della sanità pubblica. Occorre sviluppare programmi, con l’aiuto della medicina territoriale e con i medici di medicina generale, per poter recuperare queste persone e reinserirle nei processi diagnostici e di cura necessari alla loro condizione di salute. Bisogna istituire nel territorio punti di ascolto, in modo tale che le persone vi si possano rivolgere per chiedere informazioni e supporto.

La sanità pubblica ha delle responsabilità?

Sicuramente si può fare meglio. In parte ritengo che sia un problema organizzativo, ma anche di disponibilità economica che non permette di fare tutto ciò che vorremmo. Da un lato, ognuno di noi può fare qualcosa per migliorare i processi di cura quotidiani, rendendoli più efficienti, e nel pubblicizzare le modalità con cui accedere ai servizi. Dall’altro, c’è la difficoltà a trovare il personale sanitario, per oggettiva carenza e per via dei tetti di spesa che portano ad una diminuzione di servizi. Devo comunque riconoscere che, da parte di molti professionisti sanitari e dell’azienda sanitaria, si sta facendo un notevole sforzo per sopperire a tali carenze.

Ci sono problemi nelle liste di attesa?

Certamente ci sono problemi di liste d’attesa. Anche in questo caso stiamo facendo molti sforzi per recuperarle con attività aggiuntive rispetto all’orario di lavoro normale. Tuttavia, penso che il problema non si possa risolvere solo aumentando l’offerta delle prestazioni, ma potenziando la strategia della presa in carico delle persone. Questo significa che, nelle condizioni di criticità, il paziente, una volta inserito all’interno del processo di cura con la prima prestazione prenotata tramite CUP, debba entrare in un piano di rivalutazione periodica, con prenotazioni effettuate direttamente dalla struttura che cura il paziente.

D’altra parte, ci sono sistemi consolidati per cui, quando c’è un’urgenza della prestazione, questa viene effettuata entro le 48 ore. Il problema si pone quando le prenotazioni non sono urgenti e spesso legate alla decisione del paziente di fare un esame che potrebbe non essere giustificato, oppure un esame non urgente che il paziente vorrebbe fare subito. Comunque occorre fare ulteriori sforzi, per diminuire le liste d’attesa e per migliorare l’appropriatezza delle richieste da parte di noi medici. Ci tengo comunque a precisare che sta partendo il Piano regionale per l’abbattimento delle liste d’attesa, con il quale avremo maggiori strumenti per fornire prestazioni urgenti ad un maggior numero di persone e modalità di presa in carico per fornire risposte appena possibile.

Il Banco Farmaceutico, in un solo anno, attraverso 1.844 enti che offrono medicinali gratuiti ha dato una mano a più di mezzo milione di persone. Chi chiede aiuto spesso lo fa poiché è fuori da qualsiasi sistema di protezione. Come è possibile che ciò accada?

Pensando alle condizioni economiche anche un semplice ticket o l’acquisto di farmaci a basso costo e di uso frequente possono essere difficili da acquistare, compresi i farmaci di fascia C. In questo caso, così come per le liste di attesa, viene garantito il livello base e l’azione sussidiaria del Banco Farmaceutico può essere importante. L’importanza sta nel fatto che, in questo modo, si possono recuperare farmaci non utilizzati che verrebbero sprecati se non utilizzati prima della scadenza.

Perché la coperta sanitaria dello Stato non riesce a coprire tutti?

Il finanziamento del sistema sanitario, in Italia, è tra i più bassi d’Europa. Le spese per i farmaci innovativi e per le attrezzature crescono ogni anno e non si riesce a coprire completamente questo incremento di spesa. E poi la crescente difficoltà a trovare professionisti, per carente programmazione nazionale, rende corta non solo la coperta economica, ma anche quella professionale. Inoltre, la frammentazione del sistema sanitario, con le autonomie locali, non aiuta la programmazione nazionale necessaria. Un altro esempio sono i LEA (livelli essenziali di assistenza), definiti già da anni ma non ancora attivi.

Quali risposte si possono dare a chi non riesce a curarsi come dovrebbe?

Occorre standardizzare i percorsi di cura per le principali patologie, in modo che il paziente sappia con certezza, in ogni condizione, qual è la strada da percorrere, a chi rivolgersi, cosa aspettarsi e, in definitiva, avere la certezza della cura. È importante aumentare il tempo da dedicare al paziente, partendo dai temi degli ambulatori. Un miglior ascolto del paziente aiuta a ottimizzare la cura. Le spiegazioni che possiamo fornire, a volte evitano esami inutili e terapie altrettanto inutili. In definitiva, bisogna uscire da questa ricerca del numero di prestazioni e spostare l’attenzione sulla persona malata, in modo da risolvere i suoi problemi.

In alcune città italiane ci sono medici che offrono prestazioni gratuite, grazie al sostegno dei privati. Può essere questa una cosa da realizzare a Foligno?

L’ambulatorio solidale può essere una risposta in più per fare fronte all’emergenza e credo che si possa attuare anche a Foligno. Tuttavia, ritengo che la risposta debba essere strutturale e il servizio sanitario pubblico debba fornirla. In tale contesto può essere utile il privato, se inserito dentro lo schema tracciato dalla programmazione del sistema pubblico che deve uscire dalla ricerca delle prestazioni, per spostarsi sulla presa in carico del paziente. La persona malata deve essere coinvolta nel suo programma di cura attraverso un processo di costruzione insieme al medico da raggiungere con un approccio narrativo, vale a dire attraverso quella capacità che il medico deve sviluppare per ascoltare il vissuto di malattia del paziente e su questo decidere, insieme a lui, la migliore terapia e il miglior processo diagnostico disponibile. Su tale questione stiamo lavorando da anni, con la formazione del personale e delle attività convegnistiche. Proprio a Foligno si svolgerà, giovedì 11 aprile, l’ottavo convegno di Medicina narrativa.

LUCIO TIBERI

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