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Il peggiore dei quintanari è il migliore dei folignati?

La Quintana è Foligno e Foligno è la Quintana”: lo ricorda spesso nei suoi discorsi il sindaco Nando Mismetti. La manifestazione-simbolo della città è nel cuore e nella tradizione familiare di moltissimi folignati. Una storia d’amore cominciata nel 1946 quando, dopo la guerra, si volle ricostruire una città stremata e divisa. Al centro una grande sfida: rigenerare il tessuto sociale cittadino nella Concordia. Il bando di Giostra scritto allora dall’avvocato Giuseppe Mancini terminava richiamando la città a questa nobilissima virtù civile, obiettivo ideale della manifestazione e dunque prima dote di un quintanaro: “La Concordia e l’Amor de la Cittade tutta son pur Vittoria e bella e grande!”Cosa resta di quell’ideale dopo oltre settant’anni? Una recente indagine sociologica pubblicata lo scorso settembre su queste pagine (a firma di Simone Lini) ci aiuta a comprenderlo: “È in discussione – si legge – l’idea che ‘Foligno è la Quintana, la Quintana è Foligno’. La quasi totalità dei priori non è d’accordo. Anche chi ha una visione più ottimistica ammette che su questo fronte ci sia da lavorare (…) Dalla ricerca è emerso come ad allontanarsi dalla Quintana sia la generazione tra i 14 e i 30 anni. Quella che ha ormai superato l’entusiasmo (…) ma che poi non si radica garantendo un futuro e un ricambio all’attuale classe dirigente. C’è dunque il rischio di un mondo, quello della Quintana, all’interno di un altro mondo, quello della città (…) Ciò che si riscontra, ancora una volta, è una mancanza di comunicazione: l’apparente incapacità di trasmettere e portare fuori il mondo Quintana”. Un’analisi lucida a partire dalla quale il citato vulnus della comunicazione trova conferma in un recentissimo caso ‘social’. A scatenare la bufera la campagna pubblicitaria per il 5×1000 lanciata dall’Ente Giostra. Dopo le istruzioni per donare lo slogan recita:

“…Perché un quintanaro, in ogni caso, è sempre migliore di chi non lo è!”.

Nei tentativi di spiegazione l’Ente Giostra ha ribadito di aver voluto comunicare che chi presta servizio gratuito e volontario “ha dei valori che lo rendono migliore”. Dunque “prima i Quintanari”? Questo stile non ci convince. Intanto per una nozione di primus inter pares che non attrae, dividendo la città fra “migliori” (!) e “peggiori”. Poi per l’equivocità di un ‘donarsi’ (come accade in moltissime altre meritevoli associazioni del territorio) che dovrebbe essere incondizionato e che invece partorisce una logica di supremazia: Dono dunque sono più degli altri”. Uno stile comunicativo tanto autolesionista e poco “quintanaro”, se per somma definizione del termine intendiamo “teso alla Concordia”; uno stile che – al contrario – rispecchia una potente e nociva autoreferenzialità. Il bene della Quintana non sarebbe nell’apertura, nell’inclusione, nel condurre all’unità? Cito l’illustre economista Leonardo Becchetti che poco tempo fa a Foligno ha detto: “Uno più uno fa tre; uno contro uno fa meno di due”: in economia, come anche nella società, è l’unione – e dunque la capacità di coinvolgere, attrarre, includere – che fa la differenza. Il permanere ad un linguaggio ostile e respingente che parla di un ‘noi’ contro un ‘voi’, di un ‘noi’ che “in ogni caso” (e qui i dubbi si moltiplicano all’infinito) è “migliore” non potrà mai essere efficace. Le risposte stizzite alle critiche di questi giorni sono forse il peggior tradimento di quell’ideale di “Concordia e amor de la Cittade tutta” che auspicava Mancini, il quale non poteva certo immaginare come il suo invito si sarebbe potuto ridurre ad una partita doppia: ad un ‘dare’ e ‘avere’, ad un ‘noi’ contro ‘voi’.

FEDERICA MENGHINELLA

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