Banco-ottico-artigianale

Vischiosi “arsomigli”

Qualche anno fa la fotografa Valeriana Sisti mi propose di scrivere la prefazione al volume commemorativo dedicato al padre. Sistarello, così lo chiamavano, era noto ai folignati perché con la sua Leica ritraeva scolaretti infiocchettati davanti alla lavagna. Colsi l’occasione per osservare che nell’era corrotta della fotografia digitale ci capita spesso di rimpiangere l’autenticità dell’analogico. Scrissi pure che la fotografia, ancor più della pittura, fa i conti con la morte perché la previene cercando inutilmente di arginarla. Le foto di Sistarello, ormai d’epoca, come quelle di Laurentini, Di Luzio, Romagnoli e Cardinali quando sbucano ingiallite dai nostri cassetti testimoniano l’esistenza esiodea di un’intera comunità, con le sue opere e i suoi giorni. Tuttavia a riportarmi indietro negli anni sono gli scatti anacronistici di Alessio Vissani che, sopraffatto dalla passione per quell’ancella piena di umiltà (nel senso più baudelairiano del termine) nel 2020 ripropone una tecnologia capace di cogliere l’istante attraverso le metafore del tempo. Con il banco ottico, come si faceva 160 anni fa, realizza ritratti fotografici impiegando lastre al collodio umido, sicché i soggetti, perdendo la loro contemporaneità, appaiono ibernati. Senza entrare in merito ai criteri formali e semiologici, davanti a quei vischiosi “arsomigli” di struggente ispirazione pittorica provo una strana sensazione: che la fotografia dei giorni nostri, fatta di megapixel e di sensori utilizzati dai cellulari, costituisce un mero incidente di percorso.

GIOVANNI PICUTI

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