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“Un plebiscito d’amore”

Un ingente debito di riconoscenza, contratto il 14 gennaio 1703, rende ragione dell’annuale “plebiscito d’amore” alla Madonna del Pianto. Questa ovazione di gratitudine è una delle manifestazioni più nobili della fede del popolo folignate che da secoli pone nelle mani della Vergine l’otre delle lacrime versate nella nostra terra. 

Le lacrime esprimono l’eccesso delle emozioni, dei conflitti, delle gioie, delle solitudini e delle ferite. Sappiamo ancora troppo poco di questo misterioso “inchiostro” che sono le nostre lacrime. Pur essendo una comunicazione non-verbale, non per questo non sono un grido forte, benché silenzioso, di una sete inestinguibile. Le lacrime non narrano il nostro desiderio di morire, bensì la nostra sete di vita. Le lacrime sono il segno visibile della “nostalgia di infinito” che Dio stesso ha messo nel cuore degli uomini. Scorrono all’esterno, ma rivelano la più recondita e intensa interiorità. Il pianto è sempre una forma di relazione: è così fin da bambini. Il pianto di un neonato non dimostra soltanto il suo bisogno concreto di attenzione, ma è la manifestazione di un desiderio più ampio e ugualmente vitale: la sete di relazione. 

“La nostra biografia – scrive José Tolentino Mendonça – può essere raccontata anche attraverso le lacrime. Di gioia, di festa, di commozione luminosa; di notte oscura, di lacerazione, di abbandono, di pentimento e di contrizione”. Le lacrime sanno di sale: sale grosso per quelle di dolore, sale fino per quelle di gioia. Solo la preghiera le distilla e le fa diventare collirio della speranza per i nostri occhi, sempre troppo stanchi di guardare in alto. “Chissà – si domanda Miron C. Izakson – se è possibile riconoscere dal pianto la lingua di un uomo?”. La Vergine Maria certamente lo sa fare! La litania delle lacrime chi più e meglio di Lei ne custodisce e medita la sequenza? Solamente Lei, che ha fasciato di stupore Gesù bambino, ne ha rivelato il “peso specifico”. Soltanto Lei, “che ai piedi della Croce per il testamento d’amore del suo Figlio ha accolto come figli tutti gli uomini”, ne conosce la misura “pigiata, scossa e traboccante”.

Nell’anno che si è appena concluso, il 7 marzo e il 6 novembre ho disposto, a causa della pandemia, l’ostensione straordinaria dell’immagine della Madonna del Pianto. Alla Vergine Maria osiamo continuare a domandare non solo di liberarci dal flagello del coronavirus, che non può diminuire la sua carica virale senza il nostro senso di responsabilità, ma anche di preservarci dal pericolo segnalato da Papa Francesco: “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”. Per evitare di sciupare questo tempo, che apre strade nuove e impreviste, è necessario chiederci: cosa abbiamo imparato e cosa non riusciamo ad apprendere da un’emergenza sanitaria, sociale, economica e pastorale di dimensioni globali? Poiché è nella crisi che nasce l’inventiva e si riscopre l’essenziale, occorre ravvivare la pazienza e la fiducia del seminatore che, in pieno inverno, non rinuncia a lasciarsi sorprendere, con gli occhi lucidi, dal mandorlo in fiore, che annuncia la primavera.

+ Gualtiero Sigismondi

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