Romana gatti Dreyfus

“Siamo immersi nell’antisemitismo”

Intervista a Romana Gatti Dreyfus, presidente dell’Associazione Italia-Israele di Foligno che mette in guardia dai pericoli dell’antisemitismo e racconta violenze e minacce subite anche in Umbria. Unico possibile rimedio “supplire alla forte mancanza di conoscenza su cosa sia l’ebraismo e Israele”

L’Associazione Italia-Israele di Foligno nasce dieci anni fa per iniziativa di Edmondo Monti. Da allora ad oggi conta 40 membri ed aderisce alla “Federazione delle Associazioni Italia-Israele”. Una realtà laica, democratica, apartitica e aconfessionale. Lo scorso anno Monti ha passato il testimone a Romana Gatti Dreyfus, dal 2017 nell’Ufficio di presidenza. Ricchissima la sua storia familiare: pronipote di Alfred Dreyfus (del famigerato affare Dreyfus) per parte materna, vanta legami familiari con Adele Bloch-Bauer (la musa e “signora in oro” di Gustav Klimt) ma anche con Maria Altmann e Peggy Guggenheim. Nipote del mazziniano antifascista Umberto Gatti, ha vissuto in giro per il mondo lavorando nel settore del turismo. Attualmente è tour director anche con operatori legati al mondo ebraico in particolare sull’Umbria, regione per la quale ha notevolmente contribuito allo sviluppo turistico. Direttrice tecnica di agenzie turistiche, interprete e tour manager è organizzatrice congressuale, collabora con aziende ai massimi livelli internazionali, con università straniere e con lo Smithsonian Institute. Ha insegnato all’università CST (Centro studi del turismo di Assisi) e svolto attività d’interpre- tariato per componenti dell’Unione Europea. 

Dottoressa Gatti Dreyfus come è arrivata alla presidenza dell’associazione di Foligno?
“Sono nata in Italia, a Napoli, e con mia madre ci siamo trasferite a Zurigo, in Svizzera, fin da quando ero piccola. Poi sono venuta in Umbria dove viveva mio nonno, Umberto Gatti, mandato al confino non perché ebreo, non lo era, ma perché oppositore del regime fascista e di Mussolini, che lo confinò a Terni. Crescendo ho girato il mondo lavorando per Francorosso a Torino, dove c’era una parte della famiglia Segre salvata dal fondatore Franco Rosso. Infine sono tornata in Umbria, a Perugia, dove abito da molti anni. A Foligno ho incontrato l’Associazione Italia-Israele che, in occasione della manifestazione ‘I primi d’Italia’ nel 2017, aveva siglato un accordo con il Ministero del turismo israeliano per la gestione di un villaggio di cucina ebraica kosher. Per la prima volta invitarono in città l’ambasciatore di Israele. Da quell’evento è iniziato il mio cammino verso la presidenza dell’Associazione Italia-Israele di Foligno, succedendo al fondatore Edmondo Monti. A Foligno mi sono trovata a mio agio per la visione e la missione che questo sodalizio porta avanti, in sintonia con ciò che sento e con la mia storia familiare”

Qual è il suo intento per la presidenza?
“L’intento è quello soprattutto di programmare una maggiore conoscenza sul mondo di Israele. Si parla della Shoah ma spesso molti non sanno neanche cosa significhi. E, comunque, su questa fase storica si fa già un grande lavoro nelle scuole e c’è un mondo che si muove in tal senso. Non c’è, invece, conoscenza di cosa sia l’ebraismo e Israele: per rendersi conto della positività di questo Paese occorre conoscerlo, eppure c’è una grandissima mancanza di informazione”.

L’antisemitismo esiste ancora?
“Sì. Io vivo nel mondo del turismo di buon livello, lavoro molto con gli americani e giro molto per l’Italia e per l’Umbria. Ovviamente non dico ad ognuno che incontro di essere ebrea, ma mi capita spessissimo di assistere a conversazioni di contenuto antisemita e discriminatorio. Questo mi ferisce molto. Mi dà fastidio l’ignoranza che non porta al ragionamento, ne vedo molta. Io non posso portare la stella di David. Anche nella comunità ebraica di Milano – che pure è molto forte – spesso evitano di indossare la kippah (copricapo circolare usato dagli ebrei maschi, ndr) per non rischiare di essere aggrediti. Ma perché il sindaco di Milano suggerisce di non portarla? Non è nemmeno un simbolo di Israele, ma un simbolo religioso. Perché non si combatte di più su questo fronte? I colleghi di Perugia lavorano bene sulla storia e sulla conoscenza della Shoah, ma mi chiedo: perché non insegniamo cosa è l’ebraismo? Perché un ebreo non può indossare la kippah quando i musulmani possono indossare i loro abiti?… (CONTINUA…)

Di FEDERICA MENGHINELLA

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