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Raffigurazioni della Natività nel territorio della Diocesi di Foligno

Pale, eremo di Santa Maria Giacobbe, affresco, seconda metà del XIV secolo

Pale, eremo di Santa Maria Giacobbe, affresco, seconda metà del XIV secolo

L’eremo di Pale è dedicato a Santa Maria Giacobbe, cioè Maria Iacobi, madre di Giacomo minore. I soggetti dei dipinti che ornano le pareti interne dell’edificio sono una preziosa testimonianza della devozione tributata a questa figura, compresa l’enigmatica Natività e adorazione dei pastori, che si basa su un’iconografia di stampo arcaizzante: in una grotta rocciosa (ora non più visibile, in seguito ai danni causati dal terremoto del 1997) Maria giace distesa su un tappeto, con le mani incrociate sul petto in un tipico gesto che esprime adorazione; a sinistra è seduto san Giuseppe, con il volto pensoso appoggiato ad una mano e con un bastone da cui pende un sacchetto; a destra una figura femminile con aureola, inginocchiata e vestita di verde con grembiule bianco, sostiene il Bambino Gesù su un grande calice. Sotto al braccio della santa si srotola un cartiglio che riportava la scritta “ecce Christus”. Al di sopra del Bambino si scorgevano le teste del bue e dell’asino, mentre sulla destra ancora oggi si vedono due pastori che guardano in alto verso la stella, sovrastati da un’alta rupe su cui è disposto il gregge. La presenza del grande calice dorato è stata interpretata come un riferimento al fatto che ai pellegrini in Terra Santa venisse mostrata, presso Betlemme, la vasca naturale dove al Bambino era stato fatto il primo bagno, in quanto la vasca della lavanda nel Medioevo poteva assumere la forma di calice eucaristico: si tratterebbe quindi di una prefigurazione del Battesimo, ma anche del sacrificio della Passione che il calice rappresenta. Ben presto si verifica una connessione iconografica tra le figure delle donne che lavano il Cristo battezzandolo con quelle che avrebbero lavato il Cristo morto, agevolata dal fatto che nel Protovangelo di Giacomo l’ostetrica incredula della verginità di Maria si chiama Salome, nome di una mirrofora (cioè una delle donne che dopo la deposizione dalla croce profumarono il corpo di Cristo), che fu a sua volta sovrapposta con la figura di Maria madre di Giacomo minore, ossia Maria Giacobbe: la donna genuflessa nella scena della Natività di Pale raffigura quindi la santa titolare dell’eremo, nella veste di ostetrica che lava il Bambino e lo indica come Cristo, posto su un calice che è allo stesso tempo culla, fonte battesimale, sepolcro e vaso eucaristico.

Foligno, Palazzo Trinci, cappella, affresco di Ottaviano Nelli, 1424

Foligno, Palazzo Trinci, cappella, affresco di Ottaviano Nelli, 1424

La decorazione della cappella di Palazzo Trinci, dedicata alla Madonna, fu realizzata dall’eugubino Ottaviano di Mello (noto come Ottaviano Nelli) per volere di Corrado Trinci; queste notizie si ricavano dall’iscrizione che corre lungo la parete d’altare, dove si legge anche la datazione: 25 febbraio 1424.
In questo dipinto Ottaviano si discosta dalla scena di analogo soggetto iconografico che aveva eseguito nel decennio precedente all’interno della chiesa di San Francesco a Gubbio, dove in primo piano è raffigurato il momento del lavacro di Gesù Bambino da parte delle ostetriche, secondo uno schema arcaizzante ispirato ai Vangeli apocrifi. Nell’affresco di Foligno infatti si vede la Madonna che protende affettuosa le grandi mani verso il Bambino, steso nudo a terra e circonfuso di luce. Questa iconografia è la diretta trasposizione della visione apparsa a santa Brigida di Svezia durante un pellegrinaggio in Terra Santa nel 1372: “Quando tutto fu pronto, la Vergine si mise con grande devozione in preghiera in ginocchio (…) vidi allora muoversi Colui che giaceva nel grembo di lei e subito partorì il Figlio, dal quale usciva tanta ineffabile luce e tanto splendore, da non poterglisi paragonare il sole”. Per queste ragioni l’affresco di Foligno è dal punto di vista iconografico simile, più che al citato dipinto eugubino, alla pittura frammentaria che l’artista realizza a Perugia nella ex-chiesa di San Benedetto dei Condotti, raffigurante proprio la Visione di santa Brigida.

Foligno, chiesa di San Nicolò, Polittico di Nicolò Alunno, 1492
E’ sicuramente tra i massimi capolavori di Nicolò di Liberatore, che fu detto “l’Alunno” per l’erronea lettura data da Giorgio Vasari della firma, apposta proprio nella predella di questo polittico (oggi conservata al Louvre), nella quale l’artista si definiva Alumnus Fulginiae, ovvero nativo di Foligno. Nel 1479 il dipinto venne commissionato da Brigida degli Elmi a Nicolò per il prezzo di 180 ducati papali, ma l’opera venne portata a temine solo nel 1492.

Foligno, chiesa di San Nicolò, Polittico di Nicolò Alunno, 1492

Formatosi nella bottega del suocero Pietro di Mazzaforte, Nicolò inizia con l’imitare modelli tratti dal Beato Angelico e da Benozzo Gozzoli, ma modifica presto il suo stile assorbendo con estro e genialità i caratteri di vari artisti e creando un’originale sintesi dalla potente concentrazione espressiva, che traduce nei termini del linguaggio rinascimentale la tradizionale inclinazione “espressionistica” dell’arte umbra.
Nel pannello centrale del polittico è raffigurata la scena della Natività, riprodotta secondo la versione diffusa grazie alla visione di santa Brigida, spogliata però di tutti i personaggi secondari e inserita in un paesaggio nel quale in lontananza si scorge una veduta di Foligno.

Foligno, ex-chiesa di San Giovanni Battista, affresco attribuito a Feliciano de Muti
L’affresco, che decora la parete sinistra dell’ex-chiesa di San Giovanni Battista, è stato generalmente attribuito a Feliciano de Muti, pittore folignate documentato dal 1473 al 1501, la cui attività è nota attraverso una sola opera certa, l’affresco firmato – e datato “MD”, ma forse la data è mutila – proveniente dalla distrutta chiesa di Santa Maria della Neve. Staccato nel 1887, il dipinto è attualmente visibile nella chiesa di moderna costruzione di San Giuseppe Artigiano.

Foligno, ex-chiesa di San Giovanni Battista, affresco attribuito a Feliciano de Muti

Feliciano è un pittore legato all’ambiente artistico locale dominato dall’Alunno e da Pierantonio Mezzastris; nella sua opera firmata rivela la ripresa di caratteri dal Pinturicchio e dal Perugino, per il tramite di Tiberio d’Assisi e di Francesco Melanzio da Montefalco. Per quanto riguarda la raffigurazione dei personaggi principali, cioè di Giuseppe, Maria e del Bambino, l’opera è una fedele riproduzione dell’affresco eseguito dal Perugino sulla controfacciata destra della chiesa di San Francesco a Montefalco, dipinto che in passato fu assegnato alla tarda maturità dell’artista, ma che negli studi più recenti è stato collegato al documento attestante la presenza del Perugino a Montefalco nel 1503.

Foligno, Palazzo Trinci, Pinacoteca, affresco, prima metà del XVI secolo

Foligno, Palazzo Trinci, Pinacoteca, affresco, prima metà del XVI secolo

Si tratta di un frammento di affresco che fu staccato nel 1870 dalla ex-chiesa dell’Ospedale Vecchio, insieme ad altri dipinti eseguiti fra gli anni ottanta del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento, in corrispondenza della lunga fase di trasformazione dell’ospitale della Pietà nell’ospedale maggiore di Foligno, conclusasi con la ristrutturazione dell’immobile nel 1517 ad opera dell’architetto Niccolò Cantagalli. Proprio al Cantagalli spetta il progetto della bellissima e armoniosa facciata del complesso, noto oggi come “Palazzo delle logge”.
Dell’affresco originario si conserva solo una piccola fascia orizzontale, nella quale si distingue la figura del piccolo Gesù, nudo e semisdraiato su un piccolo lenzuolo sostenuto da un cuscino formato da una fascina di rami secchi; ai lati si vede la parte inferiore di due figure stanti, da identificare con la Vergine e san Giuseppe. Nonostante le esigue dimensioni, nel frammento si riconoscono chiaramente caratteri perugineschi, che consentono una datazione circoscritta tra i primi decenni del Cinquecento e la metà del secolo, e che hanno condotto Giustino Cristofani ad attribuire l’opera a un maestro appartenente alla cerchia di Giovanni di Pietro detto lo Spagna.

Foligno, monastero di Sant’Anna, coro, affresco attribuito a Dono Doni,1544
L’iscrizione in basso riporta il nome della committente, Finalteria di Domenico da Bevagna, e la data di esecuzione, 1544. La presenza della figura di Santa Lucia, facilmente identificabile per la coppa contenente gli occhi, va spiegata come un’esplicita richiesta della donatrice, moglie di ser Bonifacio Luciani da Bevagna. L’attribuzione a Dono Doni si basa sulle strette affinità con le opere certe di questo artista, come ad esempio la Natività proveniente dalla chiesa di San Crispolto di Bettona, opera eseguita nel 1543. Nato ad Assisi nei primi anni del XVI secolo, Dono Doni si formò nell’ambiente dei pittori di cultura peruginesca, ma per lo sviluppo del suo linguaggio artistico fu determinante l’incontro con Giovanni di Pietro detto lo Spagna, che alcune fonti ricordano come suo maestro, e infatti l’attività del Doni è documentata a partire dal 1530 nella chiesa di San Giacomo di Spoleto, la cui abside era stata decorata due anni prima dallo Spagna. A Foligno Dono Doni eseguì anche un affresco raffigurante il Martirio di Santa Caterina, ora conservato nella Pinacoteca di Palazzo Trinci.
Elvio Lunghi ha evidenziato che nel dipinto del monastero di Sant’Anna l’artista riprende come modello iconografico il Presepe della Cappella Baglioni a Spello eseguito dal Pinturicchio tra il 1500 e il 1501, capolavoro della pittura rinascimentale nel quale il Bambino è raffigurato steso su un tessuto sorretto da un mannello di spighe di grano: probabilmente questo particolare fu selezionato dalle monache di Foligno in allusione al pane eucaristico che le religiose potevano ricevere all’interno del coro.

© Gazzetta di Foligno – EMANUELA CECCONELLI

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