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Macerie

Febbraio 1961: dal terrazzino sopra il forno di Pizzoni, dove abitavo, col pezzetto di vetro affumicato seguivo, con lo stupore dei miei dieci anni, l’eclissi totale di sole. Lo sparire della luce si accompagnò a quella strana sensazione di freddo, ma quello che non dimenticherò mai è il colore livido, spettrale, che assunse la facciata dell’Ospedale di fronte a me. Questa immagine indelebile mi torna prepotentemente davanti in questi giorni nei quali, sotto i morsi di una macchina che sembra un animale preistorico, il vecchio Ospedale sta venendo giù sotto lo sguardo di passanti incuriositi che si fermano ad assistere a questo spettacolo inusuale, ognuno con qualcosa da ricordare. Oltre ad aver vissuto, anche dopo, sempre nella stessa zona, quanto la mia vita professionale sia stata legata a questa struttura l’ho già scritto su queste pagine al momento della sua chiusura. Studentessa prima, tirocinante in seguito nei vari reparti guidati da noti clinici tra i quali, all’epoca, imperdonabilmente dimenticai il nome del prof. Bruno Monti, moglie di un medico che vi ha lavorato per 35 anni, con il Vecchio Ospedale ho avuto un legame particolare. Quando l’attività sanitaria è stata trasferita nella nuova sede, per anni è rimasto un monumento sempre più degradato, ed ho temuto che diventasse un “altro zuccherificio”. Sono poi cominciati i lavori di recupero della parte storica, un po’ defilati, non hanno dato nell’occhio, ora invece lo skyline è completamente cambiato. Morso dopo morso, quasi sadicamente, senza eccessivo rumore e senza tanta polvere, è venuto giù tutto ed è sparita definitivamente un’epoca. Dobbiamo ormai richiudere i ricordi nel cuore, perché il passato deve solo insegnarci a vivere meglio il futuro. Ora guardiamo avanti anzi, guardiamo oltre i cumuli di macerie e scopriamo che ci si apre una nuova visuale, un grande spazio luminoso dove appare il verde del vecchio giardino, la crociera della struttura storica con la cupola che sovrasta la famosa “rotonda”. Gustiamolo adesso il nuovo respiro che la zona ha acquistato, perché sarebbe troppo bello che questo spazio ritrovato fosse utilizzato per arricchire di verde il centro storico.
Altri mostri tra poco sputeranno cemento, per risollevare un sipario di edifici senza poesia che chiuderanno definitivamente la scena su un breve sogno.
© Gazzetta di Foligno – ELISABETTA BARONI

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