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Il volto di una Chiesa povera

In un tempo di difficoltà e di crisi, la comunità cristiana si interroga sulla sua capacità di intercettare le domande e i bisogni delle povertà che sono ancora in mezzo a noi. Lo fa partendo da una riflessione sulla povertà della Chiesa, condizione necessaria perché si dia una comunità fraterna e solidale con quanti soffrono. La povertà della Chiesa riguarda sia le scelte degli apparati ecclesiastici di sacerdoti e religiosi, sia gli stili di vita dei credenti. Stili e scelte che diventano il volto visibile della Chiesa, quello che maggiormente interessa quanti mettono a confronto il dire con il fare, le prediche con la vita. Di sicuro, dalla fine dell’ottocento la Chiesa ha conosciuto un processo di snellimento se non di povertà, rispetto al passato, anche per la fine della sua influenza politica e per il processo di autoriforma avviato dal Vaticano II. Con la revisione del Concordato, lo Stato italiano cede alla Chiesa l’otto per mille, riconoscendole un’importante funzione sociale, assistenziale, educativa e culturale. Oggi un terzo del totale è impegnato per la remunerazione del personale ecclesiastico. Ma questa quota si potrebbe ridurre – se i fedeli facessero più ricorso alle erogazioni liberali destinate all’Istituto per il sostentamento del clero, detraibili nella dichiarazione dei redditi – e lasciare l’importo il più possibile a favore delle finalità assistenziali e sociali della Chiesa. Diversi sarebbero i vantaggi: una Chiesa più sobria; dei fedeli più partecipi e più corresponsabili di quanto non lo siano oggi, alla vita della loro comunità; più attenzione da parte di tutti alle reali esigenze pastorali e ai bisogni delle nuove povertà. Utopia? No. Piuttosto, apertura di un dibattito e rinnovata attenzione verso l’uso e le finalità dei beni, antichi e nuovi, della Chiesa nella situazione attuale e soprattutto sulla loro destinazione futura. Beni antichi e nuovi non mancano nella Diocesi di Foligno. Molti hanno grande valore religioso e storico, ma ci sono anche abitazioni, edifici e istituti che, per la diminuzione del clero, potrebbero avere nuove utilizzazioni e gestioni. Ci sono anche beni culturali e della comunicazione sempre da valorizzare. Ci sono preziose strutture di formazione, di assistenza e di ospitalità che danno anche occupazione, lavoro e commesse, interagendo con l’economia del territorio, i suoi servizi e i suoi interessi. Ecco, una Chiesa chiamata a testimoniare la povertà cristiana non elude il problema della saggia utilizzazione dei beni materiali che possiede, ispirandosi ai principi della condivisione e della solidarietà. Soprattutto oggi, con il Paese costretto a rivedere gli stili di vita e ad imboccare la via dei sacrifici. Una Chiesa povera non è chiusa né autoreferenziale, perché i beni che possiede sono donazioni e sacrifici che il passato le ha affidato per svolgere al meglio il suo servizio di annuncio del Vangelo e di attenzione ai poveri. Una Chiesa povera dà a Cesare quel che gli spetta e non chiede a Cesare privilegi, preferendo la forza della carità alle concessioni, sempre poco disinteressate, della politica. E l’Ici? La prossima settimana.

© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI

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