vuoto2

“Mio Signore e mio Dio!”: il messaggio per la Pasqua del Vescovo Gualtiero

Quando leggiamo i racconti dei Vangeli sulla Pasqua suscita sempre grande meraviglia la vicenda dell’apostolo Tommaso, chiamato “Didimo”, il quale dapprima non vuole credere alla testimonianza dei discepoli – “Abbiamo visto il Signore!” (Gv 20,25) – e poi, sopraffatto dalla luce pasquale, riconosce che Gesù è “corporalmente vivo”. Tommaso, attraverso la “prova” della sua incredulità, ci aiuta a confessare che il Signore è “veramente risorto” e, al contempo, ci invita a riconoscere che la fede non si oppone alla ragione né si impone su di essa, ma la suppone, anzi, la dispone ad allargare il suo campo visivo.
“Se non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo” (Gv 20,25). Questa pretesa esprime un’attesa! La fede di Tommaso incomincia quando l’inquietudine della mente fa entrare in fibrillazione il cuore. In effetti, la fede ha nella ragione un proemio, un’apertura innegabile! La fede non chiede di sospendere il giudizio della ragione, ma di approfondirlo. L’ascesi umile e discreta della ragione manifesta l’innata vocazione dell’uomo di “cercatore della verità”. “Fede e ragione sono necessarie e complementari nella ricerca della verità. Una ragione debole – avverte Benedetto XVI – è incapace di una fede ragionevole”.
“Non essere incredulo, ma credente!” (Gv 20,27). Questo severo ammonimento ha il tono di una solenne formula di benedizione, che sollecita Tommaso a trascendere i confini della ragione e lo dispone a pronunciare un’invocazione che, nella sua nobile semplicità, traduce il primo annuncio della gioia pasquale: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28). Non sappiamo se Tommaso abbia osato sfiorare il fianco del Signore; senz’altro, però, si è lasciato toccare il cuore dal Risorto.
“Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29). Questa beatitudine lascia intendere che la fede pasquale non è un “mettere il dito” nei segni della Passione, con i quali il Risorto vive immortale; non è neanche un “mettere le mani” nel costato del Signore, ma un tenderle verso di Lui, che proprio a Tommaso ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6); non è nemmeno – mi si passi l’espressione! – un “mettere il naso” nel sepolcro vuoto, ma un “tenere fisso lo sguardo su Gesù, Colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2).
“Andiamo anche noi a morire con Lui!” (Gv 11,16). Sebbene Tommaso abbia espresso in questi termini la propria solidarietà al Cristo nell’ultimo viaggio verso Gerusalemme, egli il giorno di Pasqua, oltre ad essere assente, non ha risposto subito all’appello della fede. La “testimonianza” della sua incredulità ci avverte che l’invocazione più sincera in ordine alla fede non è quella avanzata dagli stessi apostoli – “Accresci in noi la fede!” (Lc 17,5) -, bensì quella espressa da un padre che presenta al Signore il proprio figlio posseduto da uno spirito muto: “Credo; aiuta la mia incredulità!” (Mc 9,24). Che il Signore tocchi gli occhi della nostra mente, apra gli orecchi del nostro cuore e aiuti le nostre labbra a cantare con meraviglia nuova l’Alleluia pasquale!

+ Gualtiero Sigismondi

0 shares

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Skip to content