Gualtiero Sigismondi e Benedetto XVI

Infallibile umiltà

Gualtiero Sigismondi e Benedetto XVINon trovo espressione più sintetica di questa per dare voce alla piena dei pensieri e delle emozioni che hanno fatto sussultare il cuore e la mente nell’apprendere che il Papa, Benedetto XVI, ha dichiarato di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro. Si tratta di una dichiarazione magisteriale di “infallibile umiltà”, che ha suscitato in me ammirazione e trepidazione. Ammirazione per la profezia che questo gesto esprime; trepidazione per la confidenza – quasi una confessione! – fatta alla Chiesa dal Santo Padre: “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”.
Queste parole permettono di leggere senza sottintesi il valore inestimabile di un gesto pontificale maturato nel silenzio della coscienza. Mi torna alla mente, al riguardo, una pagina di Romano Guardini, un maestro di teologia tanto apprezzato da Benedetto XVI, nella quale egli scrive che “la coscienza è per l’uomo come una finestra aperta sull’eternità: una finestra però che allo stesso tempo dà anche sul corso del tempo e sugli avvenimenti quotidiani”.
Il gesto compiuto dal Papa ha un grande significato profetico, anzitutto perché manifesta in modo disarmante l’umiltà del Santo Padre. È alla scuola di Benedetto da Norcia, che nella Regola stabilisce ben 12 gradi di umiltà, che Papa Ratzinger ha ricevuto l’insegnamento per compiere questo atto pontificale, che dice alla Chiesa di “non avere mire di possesso, di sentire sempre la propria povertà e di vedere tutto come dono”. La profezia della decisione presa dal Papa sta anche nel fatto che essa contribuisce a tradurre quanto ha auspicato Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint, ove si legge che occorre “trovare una forma di esercizio del Primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova”.
La scelta maturata dal Santo Padre ha colto tutti di sorpresa; e tuttavia egli l’aveva annunciata in una conversazione con Peter Seewald, pubblicata nel libro dal titolo Luce del mondo. “Ci si può dimettere in un momento di serenità, o quando semplicemente non ce la si fa più”. Il Papa è stato di parola: con la serenità della piena libertà ha annunciato di farsi da parte, continuando a servire la Chiesa “di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera”. In questa dichiarazione d’amore non sento l’eco delle parole di Simeone: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola” (Lc 2,29); in esse avverto piuttosto la fedeltà del Successore di Pietro a Cristo, Sommo Pastore, che ha suggerito agli apostoli la formula di congedo: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10).
Anch’io voglio bene al Papa: questo è il titolo di una pubblicazione di don Primo Mazzolari, data alle stampe nel 1942, a cui lascio la parola per confidare ad alta voce la mia profonda gratitudine al Signore per Benedetto XVI. “Anch’io voglio bene al Papa come idea e come persona, perché l’astratto, che non si umanizza un po’, sta, davanti ai nostri poveri occhi carnali, come qualche cosa di inarrivabile, perciò di meno amabile. Gli voglio bene, perché occupa, come può un uomo, anche se assistito in modo unico, il posto di Gesù; perché in lui vedo raffigurato Gesù nella sua continua presenza di capo invisibile della Chiesa; perché in lui si raccolgono visibilmente le membra disperse e facilmente divisibili, qualora non intervenga la voce paterna e autorevole di chi è il vincolo sensibile dell’unità”.

+ Gualtiero Sigismondi

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