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A noi chi ci ammazza? Riflessioni sul potere in Umbria

“A noi chi ci ammazza?”, risponde compiaciuta del buon esito dell’operazione una Professoressa dell’Ateneo perugino che ha raccomandato al Rettore uno studente su richiesta della ex-Governatrice dell’Umbria. La frase fa un certo effetto. Come pure le altre che seguono sulla “concretezza” e “praticità” delle due protagoniste e sul loro stare “sempre dalla parte del più debole”. Colpisce anche quella sicumera che lascia intendere intrecci e scambi di favori tra politici locali e pezzi che contano nella vita pubblica. Ma le parole in libertà sono rivelative e finiscono col dire sempre un po’ di verità. Soprattutto quando – come in questi casi – aprono sipari e fanno cadere qualche maschera del potere. Il potere ha le sue ragioni, che la ragione dei politici pare ben conoscere. Certo, si spera sempre che i politici “nostri”, almeno quelli che abbiamo apprezzato e sostenuto, siano diversi; ma a volte, ahi noi, tocca quasi riconoscere che così fanno tutti. “Il problema è politico” – si sente dire da chi di politica se ne intende – non moralistico, e va affrontato con la politica, non con il predicozzo. Siamo d’accordo. Anche perché non si possono buttare, in maniera pilatesca, sull’ultimo malcapitato tutti i pesi e le responsabilità di una storia che troppi altri hanno alimentato e condiviso, richiesto e utilizzato. Approviamo l’autocritica fatta giorni fa da Lamberto Bottini, segretario regionale del Pd, in vista del congresso: “Anche il Pd è rimasto imbrigliato nella deriva di credibilità della politica, è sembrato spesso essere come tutti gli altri e forse in parte lo è stato; non è riuscito ad esprimere il suo potenziale di rinnovamento e rilancio della buona politica, dell’etica politica”. L’analisi, però, va condotta più a fondo e con coraggio. Per esempio, sul fragile rinnovamento politico, più gattopardesco che reale, dell’ultimo ventennio in Umbria, sulla sua classe politica di governo, sulle caratteristiche del suo sistema di potere. O forse non sono le analisi che mancano – è di tre anni fa il lucido saggio del nostro conterraneo Marco Damiani su Classe politica locale e reti di potere in Umbria -, quanto piuttosto la capacità di trarre da queste analisi una doverosa presa di coscienza, una purificazione della memoria e della prassi, sulle complicità che hanno alimentato e legittimato il sistema politico umbro. In esso pare emergere – scriveva Damiani – una diffusa “rete di relazioni personali che connette tra loro i professionisti della politica con gli attori più importanti della sfera pubblica, locale e sovralocale”. Di fatto, la trasformazione e il ricambio del ceto politico sono risultati troppo modesti e la stagione degli uomini nuovi (1995-1999) si è chiusa presto con il ritorno sulla scena dei vecchi modi di selezione politica e dei personaggi più adusi all’esercizio del potere attraverso il rafforzamento di quella rete di relazioni personali. In Umbria la stabilità dei governi non agevola il rinnovamento della classe dirigente e garantisce vecchie rendite di posizione. Alternative politiche agli attuali equilibri non si vedono. Urge un processo di autoriforma.

© Gazzetta di Foligno – Antonio Nizzi

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