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Custodire l’umano

“Nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel cuore dei credenti”. Lo auspicava il Concilio Vaticano II parlando delle speranze e delle sofferenze degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto. Oggi l’imperativo del custodire e del salvaguardare è più urgente che mai, come dimostrano i progetti politici e i percorsi educativi per la custodia del creato, la salvaguardia dell’ambiente, le pratiche ecologiche. Anche la Chiesa – è noto a Foligno l’impegno della Diocesi in tali ambiti – sente di avere una “responsabilità per il creato e sente di doverla esercitare, anche in ambito pubblico, per difendere la terra, l’acqua e l’aria, doni di Dio creatore per tutti, e anzitutto proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso” (Benedetto XVI). Ma è giunto il tempo di allargare gli orizzonti, di aprire fronti nuovi: dalla salvaguardia del creato alla salvaguardia dell’umano. Custodire l’umanità, prendersi cura dell’uomo – come fine, non come mezzo – spingere il progresso verso l’umanizzazione. Ciò significa riscattare l’uomo dai troppi riduzionismi che lo mortificano e lo debilitano, per rimetterlo al centro dell’ economia, della ricerca scientifica, della politica e renderlo protagonista della sua storia. Il futuro dell’uomo e della civiltà sta oggi in gran parte nelle mani della scienza e della tecnologia, che sono attività dal grande potere umanizzante, nonostante i buchi neri del XX secolo. Il sapere è potere, ma coloro che sviluppano il sapere non sono coloro che gestiscono il potere. Da qui la vigilanza. Inoltre – direbbe Einstein – “il sapere scientifico ha una vista acuta quanto ai metodi e agli strumenti, ma è cieco quanto ai fini e ai valori”. Da qui l’urgenza di antropologie veramente rispettose della dignità dell’uomo, capaci di restituirgli sia il posto di preminenza che gli spetta nel creato (oggi gli animali hanno protettori, mentre masse sterminate di uomini …), sia la consapevolezza positiva dei suoi limiti. A proposito dei limiti, si sente dire che il cristianesimo non soltanto abbia prodotto la secolarizzazione, ma sia stato anche responsabile di un antropocentrismo distruttivo, volto a giustificare lo sfruttamento del mondo. Secondo U. Galimberti, “con l’incarnazione, atto fondativo del cristianesimo, Dio si fa mondo, ma l’umanizzazione di Dio ha determinato inevitabilmente la divinizzazione dell’uomo, che si sente unico artefice della sua storia, prima sotto la protezione di Dio e poi, gradatamente, anche senza Dio”. In verità, il messaggio biblico (già dalla Genesi) è diverso. E un po’ diversa è anche la storia di duemila anni di cristianesimo. Che la volontà di potenza dell’uomo possa esplodere nella tecnica può anche starci, resta da vedere però se questo evento è una derivazione o una deviazione dal messaggio cristiano. Resta soprattutto da vedere se la tecnica, con la sua potenza anche distruttrice, sia il nostro destino ineluttabile, oppure no. Crediamo di no. Crediamo anche che custodire l’umanità sia oggi la vocazione comune di credenti e laici. Di quanti rifiutano una vita organizzata attorno all’idea di funzione e un sapere che infligga all’uomo la perdita del suo nome.

© gazzetta di FOligno – ANTONIO NIZZI

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