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Troppi umbri senza lavoro

I posti di lavoro a rischio alle Acciaierie di Terni accrescono gli interrogativi sul futuro occupazionale nella regione, dove i dati forniti in questi giorni dal segretario della Cgil Mario Bravi non promettono bene: nei primi sei mesi dell’anno si sono persi in Umbria quasi 12.000 posti di lavoro. Anche i dati Istat su “Reddito e condizioni di vita” relativi al 2013 dicono che in Umbria cresce il numero di famiglie sotto la soglia di rischio di povertà, in un quadro in cui stagnazione economica e demografica, invecchiamento della popolazione e diminuzione dell’immigrazione straniera rendono difficile guardare avanti con fiducia. Forse, la prima risposta da dare alla crisi è come superare lo scoramento attraverso un cambiamento culturale ed una forte iniziativa politica. La seconda è come ripensare il diritto al lavoro e il diritto del lavoro, con mentalità nuove e vie nuove. La questione del lavoro deve essere l’impegno prioritario e la discriminante nel confronto politico; impegno, questo, non molto praticato finora per la sua innegabile asperità, ma divenuto oramai ineludibile. Come uscire, dunque, da un’emergenza che colpisce l’Umbria più dell’Italia? Tra alcuni mesi si va alle elezioni per rinnovare il consiglio regionale, ma il dibattito è ancora fermo al palo delle procedure e delle candidature e non si intravvedono riflessioni serie sulla disoccupazione e la precarietà.  I sindacati si trovano insieme a dire “basta al rigore” e ad invocare “politiche per lo sviluppo che siano capaci di rispondere alla crisi”, ma poi succede che non sempre si ritrovino insieme nelle strategie e nelle scelte da adottare. Dai sindacati arrivano comunque delle convergenze sulle quali la prossima campagna elettorale non potrà non confrontarsi. Ad esempio, politiche industriali e politiche del lavoro capaci di interagire tra loro, politiche fiscali che sostengano i redditi da lavoro e gli investimenti, politiche che favoriscano il manifatturiero come perno della ripresa economica della regione. Condivisa è anche l’idea di migliorare il sistema d’istruzione, la rete delle manifestazioni culturali, i piani di riqualificazione dell’edilizia urbana e di recupero del territorio, lo sviluppo della filiera turismo, arte e cultura. Ma ci sono anche sottolineature e valutazioni diverse. La Cisl, ad esempio, con il suo segretario Ulderico Sbarra, va ripetendo che la classe dirigente non ha saputo disegnare un nuovo modello di sviluppo per la regione, liberandola dall’isolamento e da una pubblica amministrazione fin troppo invasiva e frenante. La mancanza di merito, di trasparenza e di assunzione di responsabilità emergerebbe particolarmente dalla crisi delle partecipate pubbliche, segno, per la Cisl,  che il modello umbro basato sulle risorse pubbliche non è più adeguato. Ma come ripartire dal lavoro produttivo? Le idee forse non mancano – ad esempio, allargare lo sguardo all’Italia mediana, selezionare gli incentivi su progetti che aumentino la produttività, indirizzare in modo più mirato i fondi europei, ecc. – ma per tradurle in pratica occorrono responsabilità collettive che la politica regionale deve valorizzare e promuovere.

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