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Il Papa “leninista”

Il 13 marzo di due anni fa è iniziata la meravigliosa avventura di Papa Francesco. Il Papa che affascina i lontani, inquieta i vicini e sorprende un po’ tutti. Ha portato aria fresca nella Chiesa, parole e gesti che arrivano diritti al cuore e alla menti delle persone. È di grande incoraggiamento per i credenti, perché apre strade nuove, tocca problemi prima imbarazzanti e invita a trovare soluzioni adeguate. Anche i pastori oggi sembrano osare di più, guardando più fiduciosi al futuro. Tra l’anima rigorista e quella pastorale è la seconda che ora sembra prevalere. Naturalmente al Papa non mancano critiche, fuori e dentro la Chiesa. Provvedono poi alcuni giornalisti, scrittori o blogger a descrivere, rilanciandoli, presunti turbamenti del cattolico medio alle prese con i severi richiami e con l’agenda riformatrice del Pontefice venuto dalla fine del mondo. Addirittura lo scorso anno “The Economist” definì Papa Francesco un seguace di Lenin. Il motivo? Aveva invitato a dire no ad un’economia dell’esclusione e dell’inequità, ad un’economia che uccide. Aveva contestato il mondo ricco che scarta un’intera generazione per mantenere un sistema che per sopravvivere deve fare la guerra. Fin quando parla di pastorale familiare da rivedere, di curia da riformare, di nuovi modi di pensare e di vivere la fede, il dibattito resta circoscritto tra le diverse anime cattoliche; ma quando Papa Francesco parla con franchezza degli ultimi e delle periferie, quando denuncia la cultura dello scarto e l’industria della distruzione del creato e della vita, allora ad entrare in fibrillazione è anche un certo mondo laico, magari affiancato dal conservatorismo cattolico, americano e non. Lo rileva bene il libro di A. Tornielli e G. Galeazzi su Papa Francesco. Questa economia uccide. Il volume, grazie anche ad un’intervista al Papa su capitalismo e giustizia, aiuta a capire il magistero sociale presente in “Evangelii Gaudium”: sia nell’analisi delle sfide del mondo attuale (dove si contestano l’economia dell’esclusione, l’idolatria del denaro, l’inequità che genera violenza… ), sia nelle ripercussioni sociali dell’evangelizzazione (dove si affermano l’inclusione sociale dei poveri che hanno un posto privilegiato nel Popolo di Dio, la sfiducia nella mano invisibile del mercato, la cura della fragilità, il bene comune e il dialogo come contributo per la pace). L’intervista ad alcuni economisti cattolici, come Zamagni, fa poi capire il perché della contestazione mossa a Papa Francesco anche da parte del cattolicesimo conservatore americano e sue diramazioni. In soldoni: la Chiesa parli senz’altro dei poveri e raccomandi la carità, ma non demonizzi l’economia capitalista; non rompa quel dialogo tra cattolicesimo ed economia di mercato avviato da Papa Wojtyla con la Centesimus Annus. Insomma, ci sarebbe in Papa Bergoglio un retaggio culturale e religioso latino-americano non confacente alla globalizzazione di marca occidentale. Ai critici sfugge che oggi il cristianesimo è una religione del Terzo Mondo. E che solo da quelle Chiese giunge lo spirito nuovo, salutare per il vecchio occidente. Figli di stranieri ricostruiranno le tue mura!

ANTONIO NIZZI

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