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La legge Cirinnà e l’etica cristiana

Cerchiamo di analizzare, a grandi linee, il disegno di legge attualmente in discussione al Senato dal titolo «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», denominata legge Cirinnà. Essa si compone di due “capi”; il capo I introduce per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Il capo II riporta una disciplina volta a regolamentare giuridicamente le convivenze di fatto sia eterosessuali, sia omosessuali.
Quando si valuta eticamente una legge, in seguito alla separazione del diritto dall’etica operata in ambito moderno, si deve tener conto che una legge di uno stato democratico e “laico” non può e non deve essere dettata da valori morali religiosi specifici. Tuttavia essa per rispondere ai criteri di democrazia deve tener conto del consenso più largo possibile della popolazione, e non di una sola minoranza: questo è un dovere imprescindibile del legislatore. In democrazia una legge non deve rispondere a criteri di eticità specifici, ma essa tuttavia, regolando comportamenti morali, può divenire portatrice di determinati valori etici, fino a manifestare una vera e propria morale. Per questo la risonanza mediatica di tale legge in ambito cattolico è da apprezzare come sensibilità di una coscienza etica ecclesiale.
Quali sono le vere difficoltà che non possiamo accettare come credenti e praticanti? Nella prima parte riguardante l’istituto giuridico delle unioni tra persone dello stesso sesso abbiamo tutta una regolamentazione specifica, ed anche attenta a salvaguardare l’unicità di questo rapporto escludendo di fatto la molteplicità dei partner e la loro parentela stretta, e il rispetto dei diritti e dei doveri. Vengono citati, anche se non specificati, gli articoli 143, 144 e 147 del codice civile usati per garantire i diritti e i doveri dei coniugi nel matrimonio.
Di fatto si ha un’equiparazione legislativa tra le unioni civili di persone dello stesso sesso e il matrimonio: questa ci sembra la volontà primaria del legislatore. Ora il problema non è rappresentato dal fatto che due persone dello stesso sesso vivano insieme, e questo sia regolato da un contratto giuridico, anzi ciò è auspicabile come tutela della dignità delle persone e assunzione di responsabilità. Il problema consiste nella volontà di equiparare le unioni omosessuali alla famiglia, e quindi si apre alla così detta stepchild adoption, cioè alla possibilità data dal legislatore alle unioni omosessuali di avere dei bambini anche attraverso l’“utero in affitto”, tra l’altro vietato dalla legge italiana: «Non abbiamo nulla contro il riconoscimento dei diritti individuali delle persone omosessuali, come poter andare a visitare il partner in ospedale o in carcere o decidere quale parte di patrimonio lasciargli in eredità, ma un conto è un Paese che mira al futuro e quindi investe sulla famiglia reale; un altro è un Paese che si preoccupa solo dei diritti di alcuni gruppi» (Card, Bagnasco, Discorso all’assemblea CEI, 25 gennaio 2016). Si presti attenzione anche alla seconda parte del testo di legge, dove vengono regolate giuridicamente le convivenze eterosessuali, facendo perdere di fatto il loro carattere provvisorio. Esse avranno per legge gli stessi diritti e doveri del matrimonio civile: in questo modo si richiede ai conviventi una vera e propria assunzione di responsabilità etica e giuridica rispetto al passato.

CARLO MACCARI

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