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Il seme dell’ecumenismo

Domenica 4 settembre 2016, in un pomeriggio splendido di sole, ha celebrato i suoi 90 anni, ben portati e bene auguranti per molto più dei soliti cento di questi giorni, la comunità delle Sorelle dell’Eremo francescano di Campello sul Clitunno.
Di questo luogo e delle sorelle che lo abitano, avevamo parlato in questo stesso settimanale il 24 gennaio 2014, a proposito di ecumenismo, avendo papa Francesco, proprio in quei giorni, annunciato l’incontro ecumenico con il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli e «con tutti i rappresentanti delle Chiese cristiane di Gerusalemme».
All’ecumenismo si faceva riferimento, perché l’Eremo è luogo, da sempre, simbolo di universalità, fratellanza e rispetto reciproco tra credenti delle varie confessioni, non credenti illuminati e – come direbbe papa Bergoglio – «artigiani della pace» senza altri passaporti o patenti.
Bisognerà brevemente ripercorrere qualche tappa storica.
novantesimoLa comunità fu fondata da Valeria Pignetti (1875-1961). Amante della musica, della natura, innamorata di Dante per merito del padre insegnante e direttore scolastico a Roma, faticava a seguire gli studi regolari, per la sua predilezione a leggere autori ben al di sopra di quelli previsti dall’ordinamento scolastico.
Il 17 novembre 1901, entrò in religione, con il nome di Maria Pastorella, presso le Francescane missionarie di Maria, attratta dal desiderio di andare missionaria all’estero. A causa della sua salute cagionevole dovette rinviare i voti fino al 1908 e rinunciare alla missione. Molto stimata dalla Congregazione, svolse vari incarichi di responsabilità e insegnamento in diverse località italiane, tra i quali l’assistenza agli orfani del terremoto di Messina. Tutto ciò le servì per approfondire e inquadrare la propria vocazione, rispetto alla quale fu di fondamentale importanza la nomina, durante la Grande Guerra, a superiora delle suore infermiere e responsabile dell’assistenza religiosa presso l’Ospedale anglo-americano di Via Nomentana, a Roma.
Fu notata la sua particolare sensibilità verso persone di altre confessioni o religioni, per le quali mostrò concreta attenzione e rispetto. Da qui nacque in lei l’esigenza di un nuovo stile di vita religiosa e contemplativa, dedicata all’accoglienza spirituale.
Tra le varie amicizie che si svilupparono in quel periodo – delle quali si è parlato nell’articolo precedente – citiamo quella con quell’Ernesto Buonaiuti che, sospettato di simpatie moderniste, era già sotto osservazione da parte del Sant’Uffizio durante gli anni di seminario, poi scomunicato (nel 1925), esonerato dall’insegnamento per non aver prestato il giuramento di fedeltà al Fascismo, non reintegrato nel 1945 per una applicazione retroattiva dei Patti lateranensi, sostenuta dalla Democrazia cristiana, dal Partito comunista italiano e perfino dal Partito liberale italiano. I quali tutti, nessuno escluso, temevano un cristianesimo non collocabile nel conflitto tra laici e cattolici. Un cristianesimo ecumenico, lo definiremmo oggi, che era nei pensieri di sorella Maria e che fu certamente il cemento di una profonda amicizia con molte autorevoli personalità del ’900, tra cui Albert Schweitzer, il Mahatma Gandhi, Giovanni Luzzi, Evelyn Hunderhill, Ernesto Bonaiuti.
Sorella Maria ottenne da papa Benedetto XV la dispensa dai voti e il permesso di dare attuazione alla sua nuova vocazione. Nel 1922 si stabilì provvisoriamente a Poreta, presso Spoleto, in una casa di campagna. Non stilò mai una «Regola» né mai volle riconoscimenti ufficiali come congregazione religiosa – si può immaginare come questo e quanto detto poco sopra dei suoi rapporti amichevoli, le attirasse i sospetti più duri da parte delle gerarchie ecclesiastiche, in particolare dell’allora arcivescovo di Spoleto -, ma rimase sempre legata alla regola «non bollata» di Francesco di Assisi, come l’aveva appresa dallo storico protestante Paul Sabatier, con il quale tra gli altri intrattenne una lunga corrispondenza. Le stesse prime compagne erano terziarie francescane e lei iniziò a firmarsi «La Minore».
Nel 1926 la piccola comunità di cinque sorelle si stabilì definitivamente nell’eremo francescano abbandonato. All’acquisto e alla ristrutturazione provvidero vari amici e principalmente l’infermiera inglese Amy Turton, di religione anglicana, che nel 1933 sarebbe entrata a far parte della comunità. Risulta – e ci sembra significativo – che poi, per la volontà di sorella Maria che la comunità non si discostasse dall’esigenza di povertà del francescanesimo, la proprietà sia stata frazionata tra vari amici, incluso lo stesso Ernesto Bonaiuti.
Ma torniamo al compleanno: nel magnifico clima di cui dicevamo, sono salite all’Eremo almeno quattrocento persone. E non è che la salita sia stata una passeggiata, né per gli appiedati né per chi è salito con le navette messe a disposizione da amici generosi. La strada è lunga, ripida e stretta, il sole batte a perpendicolo sul monte, le auto devono alternarsi, l’orario programmato si deve adattare per aspettare l’arrivo di tutti, ma nulla è andato perduto di quanto previsto: visita all’antico convento – ne vale la pena! -; breve storia della comunità; Eucaristia concelebrata da nove presbiteri e due diaconi; coro, violoncello e tastiere che hanno animato con bravura la liturgia.
L’attuale responsabile della comunità, sorella Daniela Maria, intervenendo al termine della celebrazione, ha ripercorso la storia dalle origini, nominando una per una le Sorelle delle tre generazioni che l’hanno preceduta, raccontando, commossa e commovente, i nomignoli che esprimevano la bellezza di ognuna di loro.
Questa di nominare le persone è una caratteristica alla quale le «Allodole» – come le definì la stessa fondatrice e come le chiama ancora la gente dei dintorni – tengono in modo particolare. Chi almeno una volta è passato di là e ha lasciato il proprio nome, chi il quattro settembre ha firmato il «librone lì davanti», sarà presente, singolarmente come ad un appello, nelle preghiere della comunità.
Non è mancata, alla festa, la partecipazione della società civile, nelle persone dei sindaci di Campello e Trevi, Domizio Natali e Bernardino Sperandio: una presenza, la loro, molto in tono con lo stile delle sorelle, poco formale e molto cordiale, dettato assai più da amicizia che da dovere istituzionale.

Massimo Bernabei

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