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Morire in solitudine nella nostra città. Unicità irripetibile della persona e globalizzazione dell’indifferenza

La notizia, riportata in cronaca di Foligno da un quotidiano di ampia diffusione, riguarda la vicenda di un nostro concittadino, anziano quasi ottantenne, rinvenuto ormai cadavere nella sua abitazione dove viveva da solo ed era deceduto da parecchi giorni per cause naturali: motivo del tragico ritrovamento, i miasmi che, esalati dal corpo in preda alla decomposizione sicuramente accelerata dal caldo torrido di questo inizio d’estate, hanno allarmato condomini, vicini di casa, passanti. Altrimenti, chissà per quanto tempo sarebbe passata inosservata la sua morte, e ignorata “l’unicità irripetibile” della sua parabola esistenziale. Un dramma della solitudine, come sottolinea il giornale citato. Una realtà dei nostri giorni: un episodio simile nella dinamica a casi analoghi, più frequenti nel contesto multiforme delle grandi città, dove è più diffusa la solitudine, dove accade di vivere e morire nell’anonimato, e spesso succede che due persone abitanti vicino, pur sfiorandosi per strada o per le scale, non si conoscano reciprocamente, dove il tessuto sociale è meno coeso rispetto a quello dei piccoli centri, e sono più consueti un malinteso senso dell’emancipazione e il distacco psicologico da radici familiari e da valori atavici. Succede, in tali contesti, che molti, intenti alla propria crescita socio-economica o coinvolti totalmente dai propri problemi, siano portati al disinteresse dell’altro, vicino o lontano, talvolta per noncuranza, talaltra per diffidenza preconcetta verso l’estraneo visto come rivale pronto a ghermire beni e certezze acquisite. “La cultura del benessere ci porta alla globalizzazione dell’indifferenza. Diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello “scarto”, che induce al disprezzo ed all’abbandono dei più deboli” (papa Francesco). Succede così che persone fragili, che non rispondono ai requisiti richiesti da una società confusa e intollerante, vengano emarginate direttamente oppure costrette dalla forza degli eventi a relegarsi nelle retrovie: finiscono per essere “quelli che sentono di non valere nulla, che hanno perso la speranza e il gusto di vivere”: cari al cuore di papa Francesco. Da tali radici può nascere la solitudine: condizione subita per necessità o per scelta obbligata, non decisa per preferenza spontanea. Condizione personale di isolamento interiore immanente pur in presenza di altri, estranei indifferenti al disagio del singolo; ma che talvolta per alcuni si materializza nell’accezione più vera: l’assoluta assenza di altri nel contesto della propria intimità. Tragiche testimonianze di solitudini estreme: poveri clochard che muoiono assiderati nelle fredde notti d’inverno, raggomitolati nelle nostre strade; anziani soli e single di ogni età che, per malattia cronica o malore improvviso, si spengono nelle loro case senza l’aiuto né il conforto di una persona cara a fianco. “Le nostre città dovrebbero caratterizzarsi soprattutto per la solidarietà, che non consiste unicamente nel dare al bisognoso, ma anche nell’essere responsabili gli uni degli altri” (papa Francesco). L’esortazione del papa rimanda all’argomento centrale, la vicenda dell’anziano solo trovato morto a Foligno dopo tanti giorni; di lui ignoro contesto della quotidianità e frequentazioni: argomenti che non attengono alle ragioni di questo scritto. Un essere umano comunque, da rispettare nella sua dignità. “Essere responsabili gli uni degli altri” a mio avviso significa stimolare verso una rete sociale di condivisione concreta del disagio delle “periferie esistenziali”, che coinvolga in sinergia istituzioni e semplici cittadini (vicini di casa, volontari, animati da spirito di fraternità cristiana). Essere anziani e soli: due criticità che il caldo estivo può trasformare in un mix micidiale, e che pertanto necessitano di un monitoraggio capillare di quartiere. La vicenda dell’anziano folignate ci interpella come cittadini e come credenti, ci mostra un frammento del disagio sociale odierno, ed a ciascuno chiede qualcosa: il ricordo ed il rimpianto a chi ne ha condiviso la quotidianità; la preghiera a chi ha la fede; il sentimento della pietà a tutti.

GIUSEPPE LIO

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