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SENZA RADICI E SENZA BUSSOLE

C’è una radicale differenza tra il modo in cui sono cresciuti i giovani dell’altro ieri (gli odierni sessanta-settantenni), i giovani di ieri (i quaranta-cinquantenni) e i giovani d’oggi. Una famiglia numerosa e coesa, un’educazione religiosa, spesso una formazione politico-ideologica costituivano il contesto della socializzazione dei primi. Il che significava avere robuste radici e poi binari di vita percepiti quasi come “naturali”: istruzione, lavoro, matrimonio, casa, figli. Mi limito ad una descrizione, senza dare giudizi di valore. Per quei giovani erano contemplate anche trasgressioni, ma erano ribellioni quasi prevedibili che aiutavano a entrare nell’età adulta.

Nella seconda generazione il modello comincia a perdere forza, indebolendo il senso delle radici. Ciò dipende dalle mutate condizioni del contesto esterno, segnato dalla stagione dei movimenti e dal clima (giusto) di lotta all’autoritarismo; ma anche dall’incertezza di genitori non più tanto sicuri di voler imporre le vecchie regole di vita alle esperienze dei propri figli.

Si arriva così ai giovani d’oggi, i quali, come indicano le inchieste sociologiche, rischiano di ritrovarsi senza radici e senza bussole. Il discorso sulle cause è complesso, e articolato è quello sul “chi sono” e “a chi si ispirano” questi adolescenti perenni. Accenniamo alle cause. All’indebolimento della famiglia si accompagna una rivoluzione sociale: atomizzazione (conta solo l’affermazione individuale), secolarizzazione, relazioni virtuali più che reali. Le conseguenze danno luogo ad un panorama in cui troviamo due gruppi minoritari e un gruppo amorfo maggioritario. Il primo gruppo minoritario è rappresentato da giovani le cui famiglie tengono ancora alla trasmissione di alcuni valori. Troviamo qui la formazione che avviene negli Oratori, nelle Comunità Neocatecumenali, in Comunione e Liberazione, negli Scout. Il secondo gruppo minoritario è costituito da figli di famiglie benestanti che puntano ad elevati obiettivi professionali, studiando in università di prestigio e viaggiando molto all’estero.

Tra le due minoranze c’è il mare magnum dei giovani d’oggi. Le ricerche ci dicono che più che avere miti (non certo miti politici, semmai Ronaldo o Ferragni-Fedez), essi vogliono essenzialmente “apparire”, “richiamare l’attenzione su di sé”, con selfie e con gesti autolesionistici suggeriti da giochi in rete che si chiamano Blackout e Blue Whale. C’è persino un mutamento nell’uso dei social: utilizzano Facebook soprattutto le persone dai quaranta in su, mentre i più giovani preferiscono ormai Instagram più adatto a mostrare foto e immagini.

È chiaro che solo il ripristino di migliori relazioni tra giovani e adulti può porre rimedio a tale deriva. Ma è difficilissimo trovare adulti preparati (per sensibilità, cultura, aggiornamento sui media) a battere la concorrenza dei Blackout e degli Instagram che suggestionano tanto i membri più fragili dell’ultima generazione.

ROBERTO SEGATORI

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