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Cattolici e “uomini di buona volontà” non sono presenti sulla scena politica

Prosegue il confronto sull’impegno per la costruzione del bene Comune. “Tutti aspettano il demiurgo che risolva l’irrisolvibile: sudditi non cittadini, credenti non combattenti, atei pusillanimi più che materialisti convinti”.

Definire i termini e i concetti è necessario in periodi di crisi della modernità. Do una mia definizione di politica: il terreno dove si costruisce il bene comune. Sia di fronte all’identificazione della morale con la politica, sia di fronte alla separazione netta fra le due realtà in genere tutto il pensiero occidentale dall’Atene di Pericle al Novecento ha considerato la politica con una “accezione” di comunità, civitas, di bene. Sia che ci si riferisca alla “Repubblica” di Platone, alla “Civitas Dei” di Agostino o alla “Civitas Solis” di Campanella, sia che si punti a realizzare il “Leviatano” di Hobbes, il liberismo di Adam Smith o il comunismo umanitario dei manoscritti di Karl Marx, la politica è sempre il tentativo di creare strutture di pensiero e di azione al fine di garantire la libertà e la sicurezza dei cittadini nonché il loro essere comunità non belligerante. Bene, se si accetta questa definizione è logico trarne una conseguenza: l’autonomia dalla politica è separazione di sé dalla comunità, è passività inerte. La passione politica come realizzazione del bene comune anima i primi trenta anni della nostra vita repubblicana: dalla Costituzione all’asse Moro-Berlinguer.

Sul finire degli anni ’80 e soprattutto negli anni ’90 in Italia si squarcia il velo che copriva la corruzione: tutte le realtà e le comunità (grandi e piccole, strutturate o spontanee che fossero) dichiarano la loro autonomia dalla politica. Comprensibile: si trattava di sopravvivere. Così le organizzazioni sindacali, così le associazioni d’impresa, così le cooperative bianche e rosse ma così anche il vasto e ricchissimo mondo dell’associazionismo cattolico e non, delle onlus, dei centri di educazione, delle Università, perfino gli intellettuali si ritirarono sull’Aventino. L’autonomia divenne – ed è tuttora, questo il punto – la bandiera di ciascuno per ritirarsi da ciò che con tutta evidenza si mostrava e si mostra come degenerazione. Ora: l’autonomia è indipendenza da altro. Cos’è questo altro? Se l’altro è la politica come ricerca del bene comune, l’autonomia non è indipendenza dagli altri ma è separazione dagli altri, cioè quantomeno inettitudine. Anche se è autonomia da una politica “cattiva e sporca”, è responsabile astrazione dal terreno di tutti, deliberato distacco dal mondo reale. In qualche modo: rinuncia al bene comune. Considero che il pensiero dei credenti e dei non credenti si sia “auto-arrestato” dentro la gabbia dell’autonomia diventata progressivamente rinuncia e alla fine ritiro dalle responsabilità individuali e collettive. Per questo motivo, imbavagliato, non riesce a esprimere le enormi energie liberatorie e costruttive che potenzialmente ha in serbo. Lo stesso appello ai cattolici per un intervento fattivo sulla scena della storia rischia spesso di cadere nel vuoto.

Il fatto è che restano intatte le barriere del passato: le remore per non apparire desiderosi di un potere temporale ormai scomparso da oltre 150 anni, l’interpretazione “passiva” del dettato conciliare sulla libera espressione del credente in campo politico, la riduzione della sfera universalistica. Parlo di tanti cattolici “perbene”, non di Francesco, che invece esorta e lotta per una giustizia terrena più di ogni altro Papa della modernità. Eppure Mons. Romero e Don Milani, una volta emarginati nella stessa Chiesa Cattolica, sono oggi diventati uno Santo e l’altro (Don Milani) un “prete trasparente e duro come un diamante che continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa” (Papa Francesco in occasione della sua visita a Barbiana). Un conterraneo di Don Milani lo definisce Santo per come lo ha conosciuto direttamente: il Cardinal Bassetti, attuale Presidente della CEI, con buona pace di altri Cardinali. Quale altro segnale dovrebbe dare Papa Francesco per esortare tutti a costruire un orizzonte nuovo di solidarietà in questo mondo post-moderno? Sta di fatto che la mobilitazione dei cattolici e di tutti gli “uomini di buona volontà” (e ce ne sono milioni) non è politicamente presente oggi sulla scena. L’idea di autonomia li ingabbia. Potremo parlare di un inedito protagonismo dei progressisti solo dopo essere usciti dalla gabbia. Anche i non credenti e i non cattolici hanno inteso l’autonomia come la gabbia d’oro dove non si è chiamati a rispondere personalmente al “tribalismo”, termine con cui un moderato come Zagrebelsky ha definito la contemporaneità. Si aspetta tutti il demiurgo, il deus ex machina che risolva l’irrisolvibile: sudditi non cittadini, credenti non combattenti, atei pusillanimi più che materialisti convinti. L’altra faccia della medaglia della politica “brutta e cattiva”.

Occorre “avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.” (Don Milani, Barbiana 18 ottobre 1965). Nessun soldato è obbligato ad obbedire ad un ordine contrario alla legge di Dio… vi supplico, vi scongiuro, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!” (Mons. Oscar Romero, ultima omelia, 23 marzo 1980). L’obbedienza non è più una virtù, l’autonomia non è più una virtù.

GIORGIO RAGGI

 

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