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Stanchi ma sempre in prima linea

Anche il 2022 si è aperto con la lotta alla pandemia in primo piano. Se da una parte i vaccini stanno mitigando l’impatto del Covid-19, gli ospedali sono nuovamente sotto pressione: l’esperienza degli operatori sanitari che da due anni stanno lavorando senza sosta

“Il primo aggettivo che mi viene in mente è stanchi. Dopo due anni in prima linea contro il Covid-19 siamo stanchi, ma non arresi. E siamo pronti a ricominciare, a tornare ad indossare le tute per fronteggiare questa nuova ondata”. A parlare è Francesca (nome di fantasia, ndr), anestesista in forza al sistema sanitario umbro. Nessuno dei sanitari che abbiamo intervistato, infatti, ha voluto svelare la sua identità per questioni lavorative. L’impegno di Francesca in corsia è reso ancora più gravoso dal lavorare nel reparto di rianimazione Covid, già di per sé difficile ma che sotto pandemia lo è diventato ancora di più. “Non solo per quello che comporta la malattia – spiega -, ma anche perché molto spesso diventa complesso far capire alle famiglie dei pazienti, che sono purtroppo lontane dai loro cari, che tutto ciò che si fa lo si fa perché è necessario. E i pazienti lo sanno, ne sono consapevoli, al punto che a volte sono loro stessi a chiedere di essere addormentati, di essere aiutati a respirare perché da soli non ce la fanno”. È dura la vita nei reparti di rianimazione Covid. “Ed è ancora più dura – prosegue Francesca – quando hai in cura familiari di amici o persone che conosci. L’approccio in quei casi è emotivamente complicato”. Eppure, qualche momento di gioia c’è. “Quando un caso che si presentava disperato si risolve positivamente – sottolinea – e hai la consapevolezza di aver lavorato bene”. Ma come si sopravvive a due anni come quelli scanditi dal Covid? “Innanzitutto pensando che stai aiutando la persona che hai davanti, chiunque essa sia. E, nel mio caso, anche con la fede, sapendo che al mio fianco c’è Dio e offrendogli il quotidiano, la fatica, la stanchezza. E poi, attraverso i rapporti umani. Con i colleghi, nel portare avanti un lavoro di squadra, ma soprattutto con i pazienti. Non sanno che facce abbiamo, ci conoscono solo per aver incrociato i nostri occhi ma magari dopo che sono usciti si ricordano di noi, di quello che abbiamo fatto, ci ringraziano e questo ci dà una grande spinta”. Sì, perché sono gli sguardi e i gesti a fare la differenza. “In questo – commenta – molto bravi sono sempre stati gli infermieri, che con piccole attenzioni cercano di dargli sollievo, che quotidianamente fanno da tramite con le famiglie. Tra gli episodi che ricordo, c’è quello di un paziente che non riusciva a dormire la notte e un’infermiera ha cercato di fargli superare questo disagio facendogli ascoltare la sua musica preferita. Sono piccoli gesti che fanno la differenza”. Insomma, la stanchezza c’è, ma c’è anche determinazione. “Il nostro lavoro è cambiato, ma continueremo a fare quello che è necessario. Ci siamo rimessi sui libri per imparare qualcosa che nessuno ci aveva insegnato – conclude -. E quando tutto questo passerà ci guarderemo indietro e forse vivremo tutto in maniera più matura, non daremo più nulla per scontato e ap- prezzeremo la bellezza del quotidiano”…

di MARIA TRIPEPI

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