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Violenza di genere, il primo schiaffo è quello di troppo

Il Capitano della Compagnia Carabinieri di Foligno Angelo Zizzi commenta i dati sulla violenza di genere e verso i minori: aumentano le denunce e il coraggio di dire ‘basta’. Il campanello d’allarme? Secondo Zizzi “il primo episodio”. Fondamentale la prevenzione a scuola. Ancora poche strutture in Italia per il recupero dei violenti.

Atti persecutori, percosse, lesioni personali, violenza sessuale: i reati di genere non risparmiano il folignate, in cui sono registrati in media fra i 20 e i 30 casi di violenza su donne (e minori) ogni anno. Grazie al Capitano della Compagnia Carabinieri di Foligno Angelo Zizzi è stato possibile affrontare questo difficile tema a partire dalle denunce raccolte nei Comuni di Foligno, Bevagna, Montefalco, Trevi, Valtopina, Sellano e Spello.

Capitano, innanzitutto le chiedo un’analisi carattere generale sull’incidenza del fenomeno negli ultimi anni.

Registriamo certamente un aumento dei casi denunciati rispetto al passato, che però non significa che siano aumentati i casi di violenza: questi ci sono sempre stati, e non ci sono fattori che inducano a pensare che in generale i casi di violenza siano in aumento. Si è semmai abbassato il cosiddetto ‘numero oscuro’: il numero dei reati consumati e non denunciati.

Fra questi casi possiamo stabilire macrotipologie?

Non è possibile fare un distinguo su fasce di età piuttosto che sul Paese di provenienza o sul livello sociale di vittime o autori. Il fenomeno è trasversale e coinvolge dall’illustre professionista all’operaio, senza distinzione di religione o cultura.

Che cosa convince le donne a denunciare?

Quello che spinge le donne a denunciare nella stragrande maggioranza dei casi è l’esasperazione. Spesso ci raccontano che dall’inizio del rapporto piuttosto che da diversi anni, il clima familiare è stato sempre ostile nei loro confronti. Offese e violenze continue, umiliazioni continue. Subiscono passivamente finché non scatta la molla dell’esasperazione, che le porta da noi. Per questo ritengo prioritario lavorare sul fronte dell’informazione. Perché molte donne considerano quel clima familiare come qualcosa di assolutamente normale: in quanto femmina si deve sottostare a quel genere di trattamento. Con l’informazione aumenta la consapevolezza che così non è.

In quel numero oscuro è possibile che ci siano donne che, da bambine, abbiano assistito a violenze mai denunciate…

Da qui l’importanza del lavoro con le scuole. Se un bambino vede tutti i giorni in casa sua ciò che raccontiamo può credere sia qualcosa di normale; una volta adulto l’attuerà. Se donna, lo subirà. Spetta a noi insegnare che così non è.

Salvare i bambini per salvare le mamme (e i papà). Tra tanti casi quali dinamiche l’hanno maggiormente colpita?

Tutti questi episodi colpiscono profondamente chi ascolta, perché fanno rendere conto di quanto, talvolta, possa essere cattivo l’uomo. Quelli che fanno più male riguardano i minori, che in molti casi assistono alle violenze subite dalle loro madri. Nel 20% dei casi totali la violenza è assistita dai figli che diventano persone informate sui fatti e per questo devono essere ascoltati nelle forme di tutela previste dalla legge (in presenza dello psicologo infantile). In altri casi purtroppo ci sono violenze anche contro minori. In alcuni casi abbiamo registrato violenze a sfondo sessuale nei confronti dei minori da parte dei genitori stessi.

Quale strategia avete utilizzato per accogliere queste denunce?

A seguito della legge 119 del 2013 che recepisce la Convenzione di Istanbul del 2011 abbiamo una direzione chiara da seguire. Fra le tante linee-guida indicate credo ne esista una molto importante: quella sulla comunicazione, con un monito ai mass media nell’adottare un messaggio che sia rispettoso del genere femminile. Mi riferisco alle pubblicità che spesso oggi usano la figura femminile intesa nella sua forma provocatoria sia per vendere un reggiseno piuttosto che un caffè o qualunque altra cosa. Altra misura che ci riguarda direttamente quella di formare il personale dedicato all’ascolto delle vittime oltre che dal punto di vista tecnico anche sotto l’aspetto psicologico e comportamentale. A Foligno abbiamo un carabiniere titolato all’ascolto di donne e minori vittime di violenza. La stanza dedicata a donne e bambini rientra in questo progetto: un ambiente accogliente che consenta di sentirsi a proprio agio, tirando fuori quello che si ha dentro.

A distanza di tempo la reputa una scelta fruttuosa?

In termini di qualità del servizio senza dubbio. Cambia in meglio l’approccio, la persona si sente messa a suo agio; percependo questa attenzione nei suoi confronti sente che c’è qualcuno che si sta prendendo cura di lei, ci tiene ad ascoltarla. Questo è importante.

Le donne che denunciano quale percorso debbono affrontare?

Dopo aver denunciato, nel 90% dei casi non sono più nelle condizioni di tornare a casa. Questa è una fase delicatissima. Una delle priorità è il ricollocamento della donna e del minore in strutture protette. In questo ci danno un grande aiuto i Servizi Sociali e ci rapportiamo con Sportello Donna, Telefono Rosa e ulteriori realtà. Un momento critico perché la donna capisce che c’è uno stravolgimento nella propria vita. Alcune decidono di tornare nella propria abitazione; di certo non possiamo obbligare nessuno a lasciare la casa, rispettiamo e seguiamo ogni decisione.

Che tempi di trattazione hanno questi casi?

Assumono priorità assoluta, anche e soprattutto grazie alle indicazioni della già citata Convenzione di Istanbul. Considerando anche l’aleatorietà dei comportamenti: non sappiamo ciò che accade all’interno delle mura domestiche quindi, data questa incertezza, l’intervento è pressoché immediato. Oltre al ricollocamento anche gli interventi per neutralizzare la minaccia sono abbastanza immediati.

Come riconoscere le situazioni a rischio? Quali i campanelli d’allarme per una donna che debba reputarsi a rischio violenza?

Secondo me il campanello d’allarme è il primo episodio. In questo genere di reati si fa riferimento alla ripetitività dei comportamenti. Dunque occorre “drizzare le antenne” al primo schiaffo, al primo insulto al primissimo episodio. In questo caso la donna deve fare molta attenzione. In primis nel difendersi da sola, perché la prima difesa di una persona è se stessa, ovviamente. E poi chiedendo consiglio a punti di ascolto o anche a un’amica.

Dunque nessuna scusa verso chi picchia anche solo una volta.

Già. Quello che spesso accade è che la vittima durante il racconto tende a giustificare il comportamento colpevolizzandosi. “È vero che mi ha dato uno schiaffo, ma ero uscita con la minigonna: dunque me lo sono meritato”. In questo l’operatore deve essere bravo a spiegare che non ci sono giustificazioni alla violenza.

A maggior ragione se si hanno bambini.

Assolutamente sì. Il problema è sempre quello: la donna, la mamma “chioccia” tende a proteggere il nucleo familiare “passandoci sopra”; in realtà l’uomo che ha la tendenza ad essere violento, ingiurioso, minaccioso nei confronti della propria consorte è una persona che tendenzialmente non migliorerà, non cambierà. Piuttosto peggiorerà. Su questo la Convenzione di Istanbul fa un richiamo particolare al recupero degli autori di questi reati. Un aspetto non approfondito ma che richiede una certa attenzione e che presupporrebbe una strutturazione di servizi dedicati al recupero, alla terapia degli uomini violenti verso le donne. In Italia qualche centro già esiste, ma non nella misura in cui sarebbe necessario.

Alle donne ricordiamo che non solo hanno corsie preferenziali, ma anche riservate. E che prima di denunciare si può chiedere consiglio.

Assolutamente sì: gli sportelli di ascolto dedicati a questo tema hanno proprio questo scopo, fornendo ausili e consulenza. Ricordo inoltre che per le donne vittime di violenza è previsto il gratuito patrocinio da parte di un legale. Nel nostro territorio sono stati fatti grandi passi in termini di formazione del personale ma soprattutto di sensibilità delle diverse professionalità che operano in questo settore: non solo forze dell’ordine ma anche servizi sociali, sanitari e magistratura hanno una spiccata sensibilità su questo tema ed è molto importante. Altrettanto importante è la rete di intervento tra gli operatori, la sinergia e la simbiosi di tutti gli attori in campo, fondamentali per arrivare alla risoluzione del problema.

FEDERICA MENGHINELLA

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