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Impegno politico e agenda delle priorità

Prosegue il confronto sul tema “cattolici e politica”. Coscienza, libertà e scelte concrete

Non ci aspettiamo che un politico che ambisca a rappresentare le istanze cattoliche all’interno della società, entri in aula con i codici normativi in una mano e il Vangelo nell’altra. Non riteniamo nemmeno che la scelta debba essere quella famosa di Arafat, tra il ramoscello d’ulivo e il fucile. L’azione politica deve essere orientata verso il bene, ma non sempre l’arte del governo tratta di verità ultime e dai contorni nitidi e ben individuabili. Non si tratta di relativismo, ma della complessità del reale. A ben vedere, forse solo due criteri non tradiscono mai: la propria coscienza e la libertà. La prima ci permette di verificare, laicamente, la rispondenza dell’azione che si vuole porre in essere con i valori più profondi e basilari della nostra esistenza, la seconda (ma qui ci riferiamo solo a quella con la “L” maiuscola) ci consente di non essere strumento nelle mani di un gruppo di pressione e di agire a testa alta e sguardo limpido.
Sembrano tutte parole altisonanti e di difficile traduzione pratica. Infatti un altro elemento fondamentale è rappresentato dalla concretezza, dalla capacità di tradurre in pratica ciò che la propria coscienza e una reale libertà hanno “validato”. Qualche esempio: accogliere senza riserve i migranti e avere identica attenzione alle vecchie e nuove povertà della nostra società opulenta; educare i giovani a scoprire e riscoprire relazioni e impegno sociale, ad esprimere se stessi e la propria carica innovativa anche all’interno di percorsi pratici e non necessariamente preconfezionati. Puntare sull’aiuto alla famiglia, unico organismo in grado di garantire meccanismi affettivi, educativi e anche economici in equilibrio. Ma per raggiungere questi risultati bisognerebbe innanzitutto non inseguire il consenso e agire secondo una scala di priorità. Quale criterio per ordinare l’agenda degli argomenti da trattare? Forse andrebbe rispolverato un parametro abbastanza datato, ma talmente messo da parte da risultare addirittura innovativo: quello numerico. Occorre tornare a pensare in maniera generale e astratta – non a caso caratteristiche fondamentali della norma giuridica – senza soffermarsi troppo sulle esigenze del singolo o di piccoli gruppi, che spesso utilizzano con perizia rumori e colori per non passare inosservati e sembrare più numerosi di quanto siano in realtà. Non significa che non abbiano bisogno di attenzioni anche questi ultimi, non si transige sulla tutela delle minoranze, ma nemmeno su quella delle maggioranze. Il caso specifico spesso è emotivamente distorsivo della realtà, ecco perché occorre porre un freno all’idea di pervasività statalista che vorrebbe arrivare a disciplinare in maniera dettagliata ogni possibile caso particolare. La legge viene posta in essere non per regolamentare il caso concreto o riferibile al singolo soggetto: dove non arriva la norma possono supplire i “corpi intermedi”, cioè le formazioni sociali, veri e propri organismi di prossimità che operano al di fuori dell’istituzione strettamente intesa. Queste organizzazioni possono avere un ruolo fondamentale nella cosiddetta “Multilevel Governance”, la quale predilige appunto una cooperazione orizzontale. E allora, tornando al caso della famiglia, proviamo a fare esempi comprensibili: se in Italia secondo l’ISTAT abbiamo circa 14 milioni di famiglie “tradizionali”, 2 milioni e 600mila famiglie monogenitoriali e poco più di 7.000 unioni omosessuali, un politico onesto, al di là dei propri convincimenti personali, di chi si deve occupare in via prioritaria? Diventiamo realmente innovativi, torniamo a pensare, ad esempio, che dietro a un disoccupato molto spesso c’è una famiglia che soffre e dei minori con un futuro che non ha né suoni né colori.

ENRICO PRESILLA

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