
“IL CANCRO HA PERSO, IO HO VINTO UN’ALTRA VOLTA”
Roberta Salvati, trentun anni, di Foligno, da un anno e mezzo racconta ogni giorno su Facebook la sua lotta contro il cancro. Un diario, la sua finestra sul mondo, che l’ha salvata dal “mostro” che, invece, negli stessi giorni in cui lei ultimava la radioterapia, si è portato via la sua mamma: “Riuscire a trasformare tanto dolore in qualcosa di positivo fa sì che quel dolore non sia stato vano”.
Roberta, quando inizia la tua lotta contro il “mostro”?
Nel periodo migliore della mia vita: stavo per laurearmi, avevo appena trovato lavoro e una pallina esce sul mio collo. Il medico di famiglia capisce all’istante che qualcosa non va, mi manda in ospedale e mi ricoverano d’urgenza. Due giorni dopo arriva la diagnosi di tumore del sangue. Da quel 20 ottobre 2015 inizia la mia avventura, non voglio chiamarla tragedia perché la malattia mi ha anche dato e insegnato tanto.
La diagnosi e subito un nuovo ricovero: è in quei giorni che nasce l’idea di raccontare tutto su Facebook e Youtube, come mai?
Dopo la prima diagnosi, mi ricoverano a Perugia nel reparto di ematologia. Quindici giorni dopo mi diagnosticano il linfoma di Hodgkin: tiriamo un sospiro di sollievo perché è tra i tumori più gestibili e che meglio risponde alle chemio. Subito cerco su Internet storie di ragazze con la mia stessa malattia per sapere come l’hanno affrontata, se sono guarite e a cosa portano le terapie. Non trovo tanto, però, e così decido di farlo io, di scrivere io giorno per giorno cosa comporta la malattia, come la vive una ragazza di trent’anni, com’è la chemioterapia.
Il nome della pagina e del canale è emblematico: Daje Robs!
È stato quasi automatico! Le mie amiche mi chiamavano Robs, daje era una sorta di incitazione che mi ripetevo ogni giorno chiusa nella mia cameretta di ematologia, senza finestre e con la porta sigillata.
Inizi la seconda chemio, però, e arriva la battaglia più grande: la malattia di tua mamma…
Avevo finito da pochi giorni il mio secondo ciclo di chemio. Mia madre mi stava portando la solita arancia che mi dava tutte le mattine da quando mi ero ammalata e con mia zia ci accorgemmo che era diventata tutta gialla. Mio padre non mi disse niente per due settimane perché aspettavamo gli esiti della prima Pet, per sapere se i primi due cicli di chemioterapia avevano fatto effetto. Per fortuna stavo rispondendo bene alle cure e, allora, mio papà si sfogò con me. Capii subito che non le restavano più tanti mesi di vita, ma decidemmo insieme di non dirle che era terminale: era tanto grande il suo dispiacere per me che metterle sulle spalle anche il dolore che forse non mi avrebbe vista guarita era troppo.
Insieme vi siete ammalate e insieme avete raccontato la vostra lotta: ti immaginavi l’affetto delle migliaia di italiani che vi hanno seguito tutti i giorni?
No, non lo avrei mai immaginato, ma toccavamo molto la sensibilità con una storia di cancro vissuta insieme a distanza di venti giorni. Mi ha salvato la condivisione: io facevo la chemio il martedì, mamma il mercoledì. Sfinite dagli effetti, andavamo in camera e lei mi parlava dei progetti per quando sarebbe guarita. In realtà, sapevo che la stavo perdendo giorno dopo giorno. Se non avessi avuto quello sfogo con tutte le persone che mi seguivano, che mi confortavano ed erano diventate la mia finestra sul mondo…
Che ruolo ha avuto Dio nella tua malattia?
Dio c’è sempre stato: solo Dio poteva darmi la forza per affrontare quello che stava accadendo perché non era umano. In alcuni momenti è stata proprio dura, avevo la consapevolezza che stavo perdendo mamma e vedevo quello che mi sarebbe potuto succedere se le terapie non avessero fatto effetto. Dio comunque continua ad avere un ruolo importante anche oggi perché un tumore ti cambia la vita.
Finalmente, però, oggi sei guarita e la tua
storia è diventata un libro che sta aiutando tante altre persone.
Il pensiero di trasformare il diario in un libro, Tu con me, è stato quasi automatico ed è nato proprio dalla condivisione sui social. Automatica è stata pure la decisione di dare tutti i diritti d’autore al comitato per la vita “Daniele Chianelli” che da 26 anni opera al fianco dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia offrendo gratuitamente un alloggio alle famiglie che arrivano a Perugia per curare i loro figli e sostenendo la ricerca contro il cancro. Ad aprile faremo la prima donazione con il ricavato del libro.
Che cosa significa per te questo libro?
Intanto è un ricordo di mamma, poi ogni giorno mi arrivano foto e messaggi di guerriere che vanno a fare la chemio con il mio libro. Ogni volta mi ripeto che il cancro ha perso e io ho vinto ancora: riuscire a trasformare tanto dolore in qualcosa di positivo fa sì che quel dolore non sia stato vano.
Oggi gestisci l’Arca del Mediterraneo e sei al fianco di molti giovani, di Foligno e di varie nazionalità: che insegnamento puoi dare loro dopo la tua malattia?
Fino a un anno fa ero una ragazza normalissima, con mille paure e che forse non aveva capito il vero senso della vita. Mi dispiace che debba arrivare una malattia per farlo capire. Io che ho potuto fare questa esperienza, mi sento proprio in dovere di provare a trasmetterla: “Non aspettare di ammalarti come è successo a me, goditela questa vita!”.
ANNAMARIA BARTOLINI