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Memoria e odio non salgono sullo stesso treno

Il sindaco di Predappio, che ha negato i fondi comunali ad una studentessa per la visita al campo di sterminio di Auschwitz, ha fatto una stupidaggine colossale. Li avesse negati ad un adulto, ad un disoccupato, ad un anziano o a chi gli paresse, avrebbe fatto una stupidaggine; ma negandoli ad una studentessa, ha fatto una stupidaggine colossale. Non per la polemica che ne è divampata, ancora più ridicola e insensata. Non è questo il punto: in Italia, accesa la fiamma, tutti ad abbeverarvi le torce. Ha detto e ribadito, il sindaco di centrodestra, di non voler collaborare «con chi i treni della memoria li fa andare in una sola direzione sfruttando, per ragioni di parte, una tragedia che ha segnato l’umanità». Figurarsi la cosiddetta società civile, i raggruppamenti di sinistra, l’associazione partigiani e compagni belli. Tanto più che la postilla insiste: «Quando questi treni si fermeranno per conoscere quanto successo alle foibe o al Muro di Berlino per conoscere la tragedia di 50 anni di comunismo, vorrà dire che si vorrà avere memoria della storia a 360 gradi e allora saremo lieti di collaborare». Sta fresco. La storia è una maestra tanto grande quanto sfortunata e disgraziatissima, perché si ritrova sempre scolaresche di somari, poco collaborative e dalla memoria corta. Chi scrive queste righe, frequenta lui pure una di quelle classi. Però mi sono sempre chiesto il motivo reale per cui gli ebrei vengono puntualmente perseguitati. Le spiegazioni demagogiche e finanziarie sono insignificanti; le teorie complottistiche almeno stravaganti. Le spiegazioni intellettuali le più suggestive: Hermann Hesse riteneva che l’odio nei confronti degli ebrei fosse «un complesso d’inferiorità mascherato». Penso avesse ragione. Io credo che il motivo per cui gli ebrei siano sempre stati perseguitati, sia per il loro essere uomini liberi. Gli ebrei sono stati braccati, oppressi, vessati e sterminati perché mandavano i figli a scuola, perché hanno sempre saputo che «il mondo esiste solo per il respiro dei bambini che vanno a scuola» (Talmud Babilonese, 119b). Gli ebrei sanno che anzitutto a scuola si apprende ad esercitare lo spirito critico, e lo sanno da sempre. Lo sanno dal Deuteronomio, che è il testo nel quale si impara ad essere cittadini, cioè a relazionarsi con altri, per costruire qualcosa di duraturo. Sarà un caso che ogni persecuzione contro gli ebrei inizi con roghi di libri, chiusure di scuole ed epurazioni dai luoghi di istruzione? Ecco perché, secondo me, il sindaco di Predappio ha sbagliato: si è messo dalla parte di chi vuole un mondo di pecore. Ad uno studente che chiede di andare ad Auschwitz, si deve dire assolutamente di sì; si deve obbedire. Un giovane che vuole vedere Auschwitz è un progetto di speranza nel futuro, è un investimento. Non si può più essere ad Auschwitz, perché solo chi lo ha vissuto può sapere Auschwitz, ma si deve andare ad Auschwitz, si deve guardare, si deve vedere e si deve sentire. Io agli studenti che vanno ad Auschwitz farei dono di un libro uscito nel 1995 a Francoforte, in edizione bilingue tedesco-italiano, intitolato Abels Gesichter. Vi sono le fotografie segnaletiche dei detenuti nel campo. Un migliaio, forse più, di fotografie segnaletiche che i tedeschi non fecero in tempo a distruggere, i russi ormai alle porte, la guerra persa. Quando sfoglio quel libro immagino, dietro a ciascun volto, almeno un altro migliaio di volti. E in questo caso il numero non è un problema, perché diversamente i numeri restano astratti, ma se c’è un volto, quel volto rimane. Poi per il resto il sindaco di Predappio ha ragione. È giusto che il treno di una storiografia seria fermi anche altrove. La prima volta che sentii parlare di Basovizza o Opicina avevo già preso la laurea, nel ‘91. I testi sui quali avevo studiato la storia erano imbarazzanti: li ricordo riferirsi alla polizia come corpo separato. Certo non che i libri si incattedrassero da soli, ma così era, e quindi non si parlò mai di Triangolo rosso, che ne so, del Bus de la Lum, o dell’eccidio dei conti Manzoni. Guai avere un pensiero strano sulla resistenza. Il massimo della risposta che riuscivo ad avere, era il consueto laconico: «Va considerato quel che c’è stato prima». Come se la violenza fosse un fallo di reazione. Ecco: il sindaco di Predappio ha perso l’occasione di essere un po’ statista, cioè di saper guardare un po’ più oltre, di considerare quel che ci può essere dopo. Il problema è che noi di statisti veri abbiamo smesso di averne da parecchio; forse da Cavour. Però nel proprio piccolo ognuno ha l’obbligo di essere un po’ statista, di trascendere, avrebbe detto La Pira, di vedere che non c’è altro futuro se non quello di mettere i giovani nella possibilità di non diventare pecore, che non c’è altra via che quella di incoraggiare i giovani ad avere il coraggio di servirsi dell’intelligenza e del giudizio. Se no finisce che di treni ne passano tanti e non solo non si sale, ma, cosa ancora più scellerata, si impedisce a chi vuole di salire.

GUGLIELMO TINI

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