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La città dell’accoglienza

A Foligno l’ospitalità alle persone in fuga da guerre e situazioni di pericolo è da anni senza soluzione di continuità, grazie all’impegno della locale Caritas e dell’Arca del mediterraneo. Le storie di Afghanistan e Ucraina si intrecciano nei racconti di Abud e Giulia

Il mondo s’interseca in un appartamento. Nel giorno in cui termina l’accoglienza verso la popolazione afgana, la Caritas accoglie le prime persone che scappano dalla guerra in Ucraina. Nell’alloggio dove fino a poche ore prima si parlava il pashtu, da qualche giorno la lingua è quella ucraina. È la scuola di mondialità della Caritas folignate e dell’Arca del Mediterraneo, capaci di accogliere, ospitare e far integrare chi arriva in città da ogni parte del mondo per scappare da guerre e situazioni di pericolo. È il caso di Abud e Selina, due anziani coniugi afgani arrivati a Foligno la scorsa estate per scappare dalle persecuzioni dei talebani. Abud ha 78 anni e nella vita ha insegnato all’università di Herat per poi lavorare, fino alla pensione, nell’Unhcr. Alcuni dei suoi cinque figli lavoravano in Afghanistan con la diplomazia italiana ed è per questo che, la presa di potere dei talebani, ha messo a rischio la vita di tutta la famiglia. “Uno dei miei figli è stato ucciso dai talebani cinque anni fa, ancora prima di ciò che è successo solamente pochi mesi fa – racconta Abud in un inglese quasi impeccabile -. Appena la situazione è precipitata siamo dovuti scappare e siamo grati agli italiani e, in particolare alla Caritas di Foligno, per l’aiuto che ci hanno dato. La situazione in Afghanistan – prosegue nel racconto – ancora non è buona e noi siamo ancora in pericolo: non possiamo tornare, altrimenti ci ucciderebbero”. Conclusa la loro esperienza in Umbria, Abud e Selina si sono trasferiti a Napoli per andare a vivere con uno dei figli. “In Afghanistan avevamo una bella vita, una bella casa e tanti ettari di terra – ricorda Abud -. Abbiamo dovuto lasciare tutto, compresi anche alcuni nostri familiari. Sono loro la cosa che mi manca di più”. La cronaca di questi giorni – pur con le dovute e necessarie differenze – riporta la mente di Abud a decine di anni fa, quando in Afghanistan l’allora Unione Sovietica entrò nel Paese per sostenere una delle due parti che si contendevano il potere. “Abbiamo avuto un’importante lezione dalla storia, ma questo non è servito per evitare un nuovo conflitto nel mondo” sostiene Abud, che prima di uscire per l’ultima volta dall’ap- partamento che lo ha ospitato a Foligno, vuole lasciare un suo pensiero: “Il mio sogno è quello di non vedere più guerre. Dobbiamo essere tutti fratelli e vivere in pace”…

DI FABIO LUCCIOLI

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