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Selvaggità

Clemente ergeva barriere, aizzava cani e dimenava il bastone nerboruto. Fedele alle abitudini dei montanari, non riusciva ad apprezzare serenamente i comodi e gli splendori della civilizzazione (si fa per dire) folignate. Rincorreva gli alloctoni che scorrazzavano con i fuoristrada per i prati di Civitella e di Monte Laghicciolo. Diventava una furia quando osavano raccogliere funghi dai boschi di Vallupo o s’accostavano, per raccattare castagne, al patriarca verde all’ombra del quale pascolava gli armenti. Maurizio Cancelli mi ha chiamato al telefono per avvertirmi che se n’è andato l’uomo che allo snobismo cittadino contrapponeva un solipsismo d’impronta feudale. La montagna folignate è ancora più povera, ma Clemente rimarrà nella memoria di chi l’ha conosciuto come il più fulvido esempio di disgusto verso certi odori sociali, motorizzati o meno. Perché, come ammonisce Leonardo da Vinci, “Salvatico è quel che si salva”. La nostra unica speranza è recuperare un po’ di selvaggità.

GIOVANNI PICUTI

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