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La guerra vista con gli occhi dei cristiani

Da Corazim la testimonianza del folignate Francesco Bovi, che dal 2011 vive in Israele insieme alla moglie Maila e ai loro sette figli. “La nostra missione è ricordare ad arabi ed ebrei che dall’altra parte non sono tutti cattivi”

C’è un volto della guerra che si sta combattendo oggi tra israeliani e palestinesi che è lontano dai nostri occhi, che i media hanno riempito di immagini terribili e strazianti di corpi dilaniati, di donne e uomini, di anziani e bambini feriti e uccisi. È quello della sofferenza che pervade, nel silenzio, i cuori di arabi ed ebrei. Popoli che solo fino a pochi giorni fa vivevano, seppur separati, nella stessa terra e che oggi si guardano con sospetto, con la paura di trovarsi di fronte un nemico armato che possa fare del male a loro e ai loro cari. A raccontare alla Gazzetta questa sofferenza è il folignate Francesco Bovi che nel 2011, insieme alla moglie Maila, ha lasciato l’Umbria per trasferirsi a Corazim, villaggio ebreo della Galilea. Quella di Francesco e Maila e dei loro sette figli è una famiglia missionaria, inviata in Israele con la benedizione dell’allora vescovo di Foligno, monsignor Gualtiero Sigismondi, per servire un seminario missionario interrituale, volto a formare ragazzi chiamati a servire la Chiesa di Terra Santa nei diversi riti che la compongono. Quella in cui vivono, spiega Francesco, non è una zona di guerra, ma l’eco dei combattimenti che stanno interessando la striscia di Gaza e i confinanti territori di Israele arriva forte. “Alcuni villaggi arabi della fascia di confine al nord d’Israele, dove c’è la nostra parrocchia – racconta – sono zona gialla, potenzialmente a rischio perché alla portata dei missili, benché il sistema di sicurezza israeliano sia molto efficace”. Lo shock subìto dagli ebrei è stato molto forte. “Non si contavano così tante vittime ebree in un solo giorno – dice – dai tempi del nazismo. E la frase che gli ebrei ripetono continuamente è: ‘Sono dei mostri’. L’arabo è diventato un mostro ed è difficile per loro fare distinzioni tra arabi cristiani, drusi o musulmani. I nostri figli più grandi, di 18 e 19 anni, hanno compagni di scuola ebrei, ragazzi e ragazze arruolati. Molti sono andati in guerra. Alcuni sono morti, altri hanno fratelli o sorelle deceduti a causa dei combattimenti”. Insomma, benché quell’area non sia direttamente coinvolta nel conflitto, la situazione e l’atmosfera descritte da Francesco Bovi sono “pesantissime, più del rischio stesso della guerra. Tutti hanno paura di tutti e sono esasperati dal ‘bombardamento’ mediatico, dalle continue dichiarazioni di guerra e violenza che si susseguono”. Il rischio, da scongiurare, è che questa sofferenza che interi villaggi si portano dentro possa sfociare, come accaduto in passato, in vendette. “La cosa peggiore è il clima di paura – sottolinea Francesco – che porta queste persone a sospettare che potrebbe esserci un nemico nascosto nel villaggio accanto, nonostante ci abbiano sempre convissuto”. Ed è in questa sottile linea che si inserisce, in questi tempi così difficili, la missione di Francesco e della sua famiglia. “Sentiamo – commenta – che la nostra missione è ricordare ad entrambe le popolazioni, quella ebrea e quella araba, che fino a due settimane fa potevano incontrarsi senza paura e che non è vero che dall’altra parte sono tutti cattivi”… (Continua…)
Di MARIA TRIPEPI

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